Nel toccante racconto dello scrittore israeliano Yoram Kaniuk, che svela l’intenso rapporto con il suo fedele amico.
Il piccolo libro Pierre. In ricordo del mio amato cane, dello scrittore israeliano Yoram Kaniuk (1930-2013), che esce in libreria in questi giorni (pubblicato da Giuntina, tradotto da Shulim Vogelmann), è davvero quello che il titolo annuncia: una storia d’amore tra un uomo e il suo cane. Anzi, tra un’intera famiglia e il suo cane. In vero, è anche un finissimo scavo psicologico di questa relazione,così diffusa nella società umana da passare inosservata o essere spesso svalutata, e una meditazione sulla natura della specie canina, unica tra gli animali a condividere così da vicino, e in profondità, la vita umana. Nessun altro animale, oggi, rende servigi all’umana convivenza più dei cani. A dar voce a questa storia è uno dei maggiori scrittori in lingua ebraica del Novecento. Kaniuk è autore di oltre venti romanzi e raccolte di racconti, di libri per bambini, di saggi sul teatro. Ma in queste pagine succinte (e ben illustrate da Keren Lee Vendriger) è solo il testimone della vita del suo cane e il cantore della di lui fedeltà, nel lamento per una morte percepita come profezia del destino dei viventi, proprio nello spirito del libro biblico del Qohelet. Non è un caso che il volumetto appaia con la post-fazione del biblista Paolo De Benedetti (1927-2016). Questo è l’ultimo testo dettato del maestro di Asti, da sempre sensibile al ruolo che il Creatore ha assegnato a questi “fratelli minori” nella conduzione del mondo. Due parole compendiano la concezione teologica che De Benedetti aveva degli animali: amore e attesa. Amore, perché testimoniano che il progetto divino sul mondo è più grande di quello che gli uomini riescono a pensare o vedere; attesa, perché la loro sofferenza e morte grida verso Dio nella speranza di una redenzione che riscatti tutto il creato. Kaniuk e De Benedetti, due voci originali della cultura contemporanea. Assai diversi in molte cose: laicissimo il primo (chiese nel 2011 a un tribunale di Tel Aviv che venisse cancellata la sua “religione”, voleva essere soltanto un ebreo etnico); religiosissimo, come disse di lui Umberto Eco, il secondo, pur essendo laico nel rigore del pensiero e della parola. E tuttavia due voci accomunate da n’eccezionale sensibilità verso il mondo animale, e persino vegetale, ossia dalla capacità di guardare negli occhi il loro cane e vedere il dolore innocente e il legame affettivo che queste creature sanno sviluppare. Nel 1994 Paolo De Benedetti aveva dedicato alcune riflessioni sul male, nel libro Quale Dio?, in memoria della sua amata cagnetta Pucchia. Memore forse del più famoso Balak, il cane pensante protagonista di un romanzo dello scrittore israeliano e Premio Nobel per la letteratura Joseph S.Agnon, la cui traduzione proprio De Benedetti aveva curato per Bompiani già nel 1964. Le domande di Kaniuk e di De Benedetti restano aperte, come la “voragine” di ogni vero amore che viene interrotto. Domande che vanno ascoltate.
MASSIMO GIULIANI (Avvenire)
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