Alla faccia del fisco amico. Sparita Equitalia, la nuova riscossione fa pure la cresta sulle tasse

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Malgrado le promesse di Renzi, l’accorpamento con l’Agenzia delle entrate non ha cambiato nulla Sulle riscossioni viene applicato un onere del 6%, un salasso di 900 milioni l’anno per i contribuenti.

Milano 19 Luglio – L’ex premier, Matteo Renzi, aveva promesso di abolire anche l’odioso aggio, l’onere del 6% applicato da Equitalia sulle somme riscosse. La fusione con l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto essere l’occasione buona. Invece, l’aggio è rimasto. Vale circa 900 milioni all’anno e consentirà al nuovo ente di portare in dote all’Agenzia anche 3,5 miliardi di euro di arretrati non riscossi. Sull’onere pendono almeno due processi in grado di smontarlo, tanto più che la vecchia Equitalia era una società per azioni, mentre è difficile giustificare per l’amministrazione pubblica un bilancio in utile. Nessuna illusione, la battaglia è comunque ardua: lo statuto del contribuente resta infatti un miraggio. Basti pensare che, come denunciato dai commercialisti, il fisco continua ad applicare tassi d’interesse totalmente fuori mercato. Nel caso dell’Iva per i piccoli contribuenti si arriva addirittura al 12% all’anno. Un tasso del 17% si chiama già usura. Tra le innumerevoli promesse di Matteo Renzi c’è stata anche quella di abolire l’aggio: la commissione di recupero delle cartelle esattoriali, insomma la cresta sulle somme recuperate. Nella testa dell’ex premier, l’intervento si sarebbe dovuto realizzare in sede di conversione di decreto, quello che ha previsto la fusione tra Equitalia e l’Agenzia delle entrate. Il i ” luglio scorso il nuovo ente della Riscossione ha preso forma. Ma il famigerato aggio, che pochi anni fa ha cambiato nome in onere di riscossione, è rimasto al suo posto. Vale il 3% se il contribuente paga entro 60 giorni. Oltre, il rincaro sul capitale pesa addirittura il 6%. Certo, un tempo era l’8%, ma si tratta di una piccola soddisfazione. Ora il tema si impone più che mai. Equitalia è stata fusa e non si capisce perché tale onere debba rimanere intatto. Non siamo più di fronte a una società per azioni, ma e un ente pubblico di riscossione. È difficile capire perché debba chiudere l’anno in utile e incassare percentuali così elevate. L’ultimo bilancio, quello del 2015, ha registrato 962 milioni di euro, frutto di oneri di riscossione e di rimborsi spese. A fronte di spese, per gli oltre 7.000 dipendenti, che non hanno superato i 490 milioni. A cui si sono aggiunti circa 323 milioni di spese amministrative varie. L’aumento dell’aggio è stato di oltre 61 milioni rispetto al 2014: non poco. Così come il margine operativo lordo è passato dai circa 100 milioni del 2014 ai 178 del 2015. Due anni fa i profitti lordi hanno superato i 50 milioni di euro, ma oltre 200 erano appostati a riserva nello stato patrimoniale. Lo scorso anno alcuni deputati di Gal, Grandi autonomie e libertà, hanno avanzato una proposta per abolire definitivamente le percentuali di cresta e inserire un prontuario con i costi standard: giusto il necessario per coprire le spese. Nulla di più. Una posizione sacrosanta, rimasta però a giacere nei cassetti di Palazzo Chigi. Lo scorso maggio pure la Corte costituzionale è intervenuta sul tema e ha salvato l’aggio, ma solo per motivi di ordine tecnico. La disciplina è rimasta al proprio posto perché i rilievi dei giudici tributari erano carenti in ordine normativo e motivazionale. Quello che fa rizzare le antenne è stato però l’intervento di Equitalia, che come riportava all’epoca il Sole 24 Ore, aveva chiesto di valutare la possibilità di modulare temporalmente gli effetti della sentenza in caso di abolizione dell’aggio. Il motivo è presto detto. Nel bilancio di Equitalia ci sono arretrati da incassare sotto la voce aggio, e valgono 3,5 miliardi di euro. Si capisce ora perché le promesse di intervenire a tutela del contribuente non siano state mantenute. Nella fusione, Equitalia porta in grembo una dote che vale quanto la manovrina approvata lo scorso aprile. Un tesoretto a cui il governo non vuole in alcun modo rinunciare. Per fortuna dei contribuenti, la partita non si è già chiusa. A far temere i funzionari pubblici è infatti un altro procedimento, datato giugno 2016. Qui l’aggio contestato vale 500.000 euro. Una somma difficile da giustificare per un normale recupero dei ruoli. Ma soprattutto tenendo conto del fatto che nel frattempo la natura societaria della Riscossione è cambiata. Poco importa che lo statuto del nuovo ente pubblico preveda nero su bianco tali oneri: le logiche di bilancio sono cambiate. E prima o poi qualche giudice ne prenderà nota. Sul versante politico, poi, è sempre più difficile giustificare ogni anno quasi un miliardo di aggio, quando l’operazione di fusione è stata venduta all’opinione pubblica come un mega intervento esemplificativo, addirittura -parafrasando Renzi di azzeramento delle magagne. Ecco che si aggiunge così un altro fronte legale di cui il neo direttore Ernesto Maria Ruffini dovrà occuparsi. L’altro riguarda la sua persona. La Corte dei conti non ha ancora vidimato la nomina, che confliggerebbe con i decreti attuativi della legge Severino. Un’ultima patata bollente verrà infine sbucciata il prossimo 27 luglio, quando il Consiglio di Stato dovrà pronunciarsi sul ricorso firmato dal sindacato Di repubblica. Riversare senza concorso i dipendenti della vecchia Equitalia nel nuovo ente sarebbe incostituzionale. Vedremo che succederà. Certo, un’operazione che avrebbe dovuto semplificare il fisco e renderlo comunicabile ai cittadini tramite un semplice sms si sta rivelando un ginepraio bello fitto. Ovviamente, mentre attendono che qualcuno sbrogli la matassa gli italiani continuano a essere schiacciati dalla burocrazia. 112017 si chiuderà con circa 200 milioni di documenti spediti al fisco. Alla faccia della semplificazione.
Claudio Antonelli (La Verità)

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