Lo studio di fattibilità per la riapertura della Cerchia Interna dei navigli lascerà delusi molti cittadini che la sostengono.
SCORAGGIANTE SORPRESA.
Basterebbe leggerlo, con un po’ d’impegno, il “malloppo” di 400 pagine curato da alcuni esperti di chiara fama del Politecnico di Milano. Il guaio è che nessuno lo fa. Indubbiamente, si tratta di un lavoro serio, approfondito e ben fatto. Da professori, appunto. Peccato solo che i cittadini milanesi, se lo leggessero, rimarrebbero, con tutta probabilità, piuttosto delusi, se scontenti, del nuovo scenario prospettato. Media e social network quasi sempre illudono sulla possibilità di riottenere gli angoli pittoreschi di un tempo. O gli argini meravigliosi di una volta. O di poter vedere una bellissima oasi ecologica priva di macchine e con tanto loisir. Spazi per il tempo libero dei cittadini a volontà. Purtroppo, lo studio, che pure ridonda di bellissime immagini d’epoca, dice espressamente che non potrà essere così.
UN PO’ COME LAS VEGAS
Quegli angoli, quelle prospettive, quegli argini, non si potranno più vedere. Sono stati demoliti irrimediabilmente. L’effetto paesistico, il look e lo scopo della riapertura della Cerchia Interna saranno tutt’altra cosa dal romantico passato. Sarà un dato di fatto che non ci sarà nulla di autentico, nemmeno un breve segmento. E i professori non lo nascondono affatto. Vedi lo studio di 400 pagine alla voce “Allegati” di questo sito del Comune di Milano.
Il punto è proprio questo. La città non è sufficientemente informata del progetto. Lo conoscono solo pochi gruppi più o meno interessati di cittadini. La grande maggioranza ne sa troppo poco. Non si assiste ad alcun dibattito pubblico. Le presentazioni del progetto sono poche e talora per pochi, semiclandestine. Il rischio concreto è giungere all’annunciato referendum unicamente bombardati da un’informazione univoca, con troppi cittadini convinti di poter giungere in piazza Duomo a bordo di un veloce motoscafo: “Milano città d’acque come Amsterdam, se le cose si possono fare lì, si possono fare anche qui”. Peccato che la differenza rispetto a una città di lago, di fiume o di mare, sia enorme. Per città d’acqua, qui s’intendono rogge e fontanili, risaie e marcite. E tre canali tre. Di cui solo uno navigabile.
FOSSATO PIÙ PICCOLO E CON UNA STRADA PER LATO
Il nuovo fossato previsto dallo studio di fattibilità avrà dimensioni ridotte. Molto lontane da quelle del passato. In alcuni punti, avrà larghezze risibili, mediamente del 50% in meno, fino ai due terzi più piccolo. Per questa ragione, difficilmente nella rediviva Cerchia Interna sarà consentito il doppio senso di marcia. In via Senato, per esempio, sarà largo 4,5 metri, quanto la sala da pranzo di un normale appartamento. Significa che la messa in acqua delle imbarcazioni avrà pesanti limitazioni. Nemmeno le barche a remi potranno superarsi o incrociarsi, anche perché ci sono ben dieci chiuse da superare.
In altri punti, al massimo sarà largo 6,70-7 metri. Per dare un’idea: da Tornavento ad Abbiategrasso il naviglio Grande ha una larghezza variabile dai 22 ai 50 metri, mentre da Abbiategrasso a Milano si restringe anche fino a 15 metri. Nel tratto terminale della darsena si riduce a 12. La Martesana, detta anche “naviglio piccolo”, è larga da 9 a 18 metri. Oggi, invece, si parla di costruire ex novo un canale circolare da 4 metri e 70 centimetri e che al massimo misurerà 7 metri. Più che un canale, sarà un canaletto. Modesto risultato, dal punto di vista paesistico. Non ci sarà modo per la luna di “rispecchiarsi la notte”. Non sarà lo “spettacolo magico” annunciato e da tutti atteso. Come mai?
NON SI TRATTA DI UNA “RIAPERTURA”
Lo studio arriva a citare un’espressione dell’architetto Gianni Beltrame, il “padre” spirituale del Parco Sud: “Non c’è niente da riaprire nei navigli”. Non è una vera riapertura, infatti. Si farà tutto ex novo. E nemmeno a somiglianza del tempo andato. A differenza del passato, il canale aperto per consentire di riprendere l’idea della Cerchia Interna dovrà avere ai lati delle sponde una doppia strada (Vedi FIG. 1). Questo, in virtù del diritto d’accesso e di passo carrabile acquisito dagli edifici costruiti dopo la chiusura degli anni ’20-30. Dovranno poter passare i mezzi di soccorso, di polizia, di trasloco.
Dunque, ahinoi, il canale scorrerà in mezzo a due strade, non a lato di una sola, come prima della fascistica copertura. Andrà costruito un ponte apposito per ogni passo carraio: “Per fortuna non sono molti”, è il commento dei progettisti. Comunque un po’ poco, per attirare i milioni di turisti interessati alla “città d’acqua”, di cui si parla tanto.
E LE AUTO RESTANO
Con il canaletto aperto appositamente, dimezzato rispetto al passato, non solo non saranno tolte le auto dal centro, come molti cittadini ambientalisti pensano, ma l’unico a essere tolto davvero, per consentire l’intera operazione, sarà il trasporto pubblico con la cancellazione dell’attuale corsia preferenziale destinata all’autobus di una delle due direzioni di marcia (Vedi sotto alla FIG. 2). L’inconveniente dovrebbe essere parzialmente attenuato dall’entrata in funzione del metrò 4. L’accesso delle auto alla Cerchia Interna sarà consentito ai soli superfortunati residenti. Ci sarà una notevole diminuzione del flusso di traffico urbano, è sicuro, ma con l’effetto di sovraccaricare ulteriormente la circonvallazione degli ex bastioni, già investita dall’istituzione della zona C. I professori del Politecnico non lo nascondono: “L’inserimento dei Navigli comporta, naturalmente, un aggravio della congestione sulla rete (5.1.5.2, Lo scenario PUMS 2024 con la riapertura dei Navigli)”. Anche se poi aggiungono: va bene così.
Per riaprire il Naviglio Vallone (oggi via Conca del Naviglio), che con la Conca di Viarenna congiungeva via De Amicis (ossia la Cerchia Interna) alla darsena, occorrerebbe abbattere tutti gli alberi compresi nel parterre centrale. Si tratta di un centinaio e più di piante ad alto fusto, molti i bagolari con oltre 70 anni di vita. Una soluzione imbarazzante, i professori sanno di difficile attuazione, se gli abitanti si facessero sentire. Per ovviare, si propone di mantenere le cose come sono, ossia il naviglio Vallone interrato, eccetto un breve tratto che non comporta alcun abbattimento. Tuttavia, se si vuole raggiungere la navigabilità fino alla Darsena e da qui avere accesso agli altri navigli, prima o poi il naviglio Vallone dovrà essere ricostruito e gli alberi abbattuti.
SI ELIMINA SOLO L’AUTOBUS…
…E LA NAVIGABILITÀ È INSOSTENIBILE
Riguardo la navigabilità, arriva forse il momento più deludente dello studio curato da docenti del Politecnico. C’è fra i professori chi sconsiglia espressamente di realizzarla(prof. Emilio Battisti). Troppo lunghi i tempi di percorrenza. Nulla che possa minimamente competere con i mezzi a motore. Da San Marco alla Darsena, con sei chiuse, il tempo necessario per i barconi era di quattro ore. Con la nuova apertura e le imbarcazioni a motore, la musica cambia un po’, si scende a due ore e mezza, sempre troppe, anche perché le chiuse saranno portate a dieci. Per ognuna, occorrono soste di alcuni minuti, da quattro a tredici, a seconda. Mediamente, sono 4 minuti per chiusa. Totale previsto: due ore e mezza, appunto.
Va bene che i turisti hanno tempo da perdere, ma qui si tratta di compiere solo mezzo giro del centro storico, da via Melchiorre Gioia alla Darsena e senza vedere le cose più belle di Milano. Con queste tempistiche, non saranno possibili più di cinque o sei “tour” al giorno. La sera non si viaggia in battello. Quale “battello” poi lo vedremo.
“EFFETTO CANYON”
Data la particolare strettezza del fossato in diversi punti del percorso d’acqua, il rischio è “l’effetto canyon”. Si spiega che cos’è. Agli auspicati turisti “in navigazione” sarà negata la possibilità di godere del paesaggio (Vedi FIG. 3). Non sarà come vederlo a piedi, in bicicletta o dai finestrini di un’auto. I turisti vedrebbero più che altro due sponde in muratura. L’effetto canyon è tuttavia negato da altri progettisti, i quali puntano su un non meglio identificato “battello olandese” adatto alla bisogna. In ogni caso, in base allo studio presentato dai professori (Vedi FIG. 7 in fondo), non sarà più largo di due metri e mezzo e non potrà trasportare più di trentasette passeggeri. Non sarà mai come un capiente vaporetto veneziano, come molti immaginano, e nemmeno come un “Bus City Sightseeing”.
Resta da chiarire che cosa si potrà ammirare da quella posizione, se non poco paesaggio storico di pregio, d’importanza unicamente cittadina, e molti palazzi di fattura contemporanea il cui valore artistico-monumentale è pari a zero. Assolutamente nulla che ricordi gli angoli dipinti nell’800 da Angelo Inganni, il bravo paesaggista bresciano. I milanesi devono sapere che, sempre a causa del canale ristretto, non solo non si potrà mettere in acqua più di un battello per volta, ma qualora desiderassero (se potranno, se autorizzati) percorrere il tratto con una barca normale, a remi o a motore, non vedranno che due mura ai lati.
NAVIGABILITÀ, ALTRI COSTI PER RICOSTRUIRLA E MANUTENERLA: DUE NAVIGLI SU TRE NON SONO PERCORRIBILI.
La navigabilità sarebbe molto complessa, tecnicamente, da realizzare. Testualmente: “Tutti i costi richiederanno disponibilità di bilancio permanente da parte degli Enti pubblici che avranno in carico l’infrastruttura” da manutenere e da gestire. “Va anche osservato che la navigabilità dei Navigli milanesi non è un requisito in grado di restituire a breve o medio termine la navigabilità del sistema complessivo dei Navigli lombardi, che è quanto lo studio di fattibilità si proporrebbe di ottenere (Emilio Battisti, 1.6.2.9)”. Difatti, sia il naviglio Martesana, sia il naviglio Pavese sono da tempo dichiarati canali non navigabili.
Il naviglio Pavese non è più navigato da almeno un secolo. E non è più percorribile. Ci sono da togliere ben sette ponti a raso dove passano le auto e ben quattordici chiuse sull’intero percorso: tutte dismesse. Non più attive da decenni. Né sono attivabili. Il sistema è completamente compromesso. Non funziona e occorre ben altro che delle riparazioni. Ma anche nel caso di una loro riattivazione immediata, consentirebbero il passaggio solo a imbarcazioni piuttosto strette (sarebbero contenti canoisti e vogatori), le cui dimensioni sarebbero pari alla metà di quelle consentite nel naviglio Grande. E anche di quest’ultimo si dimentica che si tratta di manufatti medievali, va superata la devastazione dei muri delle sponde prodotta dagli urti della navigazione di barche e battelli a motore.
MANCANO STIME SULL’INTERA RETE
Nel caso del naviglio Martesana, è fin troppo evidente lo scarso apporto d’acqua fornito dall’Adda. Il quale non è questo gran fiume, non è come il Ticino. Sfruttatissimo per l’irrigazione, l’acqua che il fiume porta alla Martesana non supera la spanna d’altezza. Per la stessa identica ragione, nel XVI secolo la sua navigabilità non fu garantita, occorse la costruzione di una delicata “rete” in grado di provvedere. Ma anche così, nel migliore dei casi, da Lecco a Milano erano necessarie quindici ore di navigazione. Da Trezzo dieci. Per risalire controcorrente trainati da dodici cavalli, si arrivava addirittura a settanta ore, tre giorni. Non c’è da meravigliarsi se, nel 1958, la Martesana fu declassata da via di trasporto a canale irriguo, giacché le imbarcazioni a motore richiederebbe comunque molte ore. Senza contare che non ci sono approdi adatti.
Per la riapertura del condotto dalla Cassina de’ Pomm al Tumbun de San Marc, si propone l’impiego di acque di falda. Qualche perplessità sembra più che legittima, ma è un altro capitolo.
Ci vorranno molti altri anni e molti altri finanziamenti per risolvere il problema della navigazione totale. Alla somma preventivata di 406 milioni da destinare alla riapertura dei navigli, andrebbe quindi aggiunta una somma non certo inferiore per ripristinare interamente la navigazione dismessa al di fuori della Cerchia. Su questo specifico argomento, manca uno studio di fattibilità. Non si ha idea dei costi di realizzazione e manutenzione. Il rapporto costi-benefici nell’ipotizzata navigabilità completa è completamente assente dallo studio del Politecnico.
SCARSO EFFETTO SUL PAESAGGIO
Causa ristrettezza dei nuovi canali, gli edifici sulle due sponde si rifletteranno poco nell’acqua, non almeno con lo stesso effetto caratteristico oggi riscontrabile lungo i navigli. La ripresa della Milano “leonardesca” che aveva affascinato Stendhal, sarà limitata a un accenno. A una citazione della vecchia Milano. Non ci sarà uno sguardo redivivo sulla città classica. I professori lo dicono chiaro(Vedi FIG. 4). Una delle due strade ai lati sarà ciclopedonale, ma l’altra sarà aperta alle auto. Unica limitazione, sarà istituire la “zona 30”, impone un max 30 Km/h. Non è previsto nemmeno l’inserimento di un solo albero lungo tutto il percorso: non ci sarà lo spazio.
TURISMO E COMMERCIO: DOVE SONO I RITORNI ECONOMICI?
In altro blocco, lo studio accenna agli effetti sul turismo. Altra cosa a interessare molto i milanesi. Purtroppo, arriva l’altra delusione “forte”. Con la riapertura, questi “ci saranno sicuramente, ma in mancanza di solide evidenze non si è in grado di fornire alcuna stima attendibile. Gli studi esistenti non aiutano, perché sono sprovvisti di ogni giustificazione o utilizzano dati non corretti. Non saranno comunque a mio avviso effetti rilevantissimi, poiché il turismo milanese è in larghissima maggioranza un turismo d’affari, presumibilmente poco sensibile al tema dei Navigli.
Qualche effetto – continua lo studio – si potrà avere sulla spesa per bar-ristoranti già compresa nelle stime dei ritorni economici del sistema commerciale lungo i Navigli, e qualche ulteriore vantaggio potrebbe dipendere da una adeguata politica di marketing territoriale, a oggi non configurabile. In proposito c’è da osservare che il possibile sviluppo di bar e ristoranti lungo il nuovo tracciato potrebbe generare il tipo di disagi che già si manifestano lungo le tratte urbane esistenti, soprattutto a causa della vita notturna (Emilio Battisti, 1.6.2.6)”.
In realtà, si punta sull’aumento dei redditi a vantaggio di residenti e gruppi immobiliari. Gli architetti che hanno firmato lo studio di fattibilità scrivono espressamente che è da evitare l’estendersi, tramite i nuovi canali, all’intero centro storico dell’esperienza caotica e “ultracommerciale” fin qui avuta nell’area darsena-navigli. Non dovranno essere uno strumento di propagazione dello stesso modello. Tuttavia, si ha l’impressione che la grande assente, in codesta auspicata riapertura (che poi riapertura, come si è visto, non è) sia proprio la cultura. Risulta carente la componente motivazionale per la crescita formativa ed educativa dell’intera città. L’appello al passato è troppo poco. Qual è l’utilità?
“INTROITI PER 800 MILIONI”
Vediamo il piano immobiliare. E’ provato che gli appartamenti degli edifici affacciati direttamente sui navigli, complice il caos serale, perdono di valore, mentre lo acquistano quelli delle vie retrostanti. Quindi, è in quelle fasce che si eserciterà, a occhi chiusi, la pressione speculativa. La stima degli 800 milioni di introiti (o di 994 milioni, o di oltre un miliardo, i numeri abbondano), sbandierata dai sostenitori della “riapertura dei navigli”, parrebbe piuttosto pubblicità commerciale. Intanto, non si è mai capito chi dovrebbe intascare i suddetti introiti, se gli 800 milioni sono una tantum o all’anno. Se a vantaggio dei privati o del Comune o dello Stato sotto forma di tasse o altro, rimanendo la (costosa) manutenzione del sistema navigli in mani pubbliche. Manca un vero rapporto sul dare-avere.
La valorizzazione del territorio, anche delle parti degradate connesse al sistema dei navigli, resta una motivazione forte, unitamente a un non meglio identificato “beneficio collettivo” valutato dai professori 758 e rotti milioni (6.2.4). I quali ultimi, sembrano del tutto rientranti nelle redditizie partite commerciali abitualmente caratterizzanti le residenze in centro storico, quantificazione di un volume d’affari dovuto unicamente alla stima commerciale e immobiliare dei recenti manufatti edilizi esistenti sulla ex Cerchia Interna, nove volte su dieci privi di valore storico e di notevoli attributi estetici. Anche di fronte a queste cifre, però, si rimane perplessi: se è così conveniente, perché non sono banche, assicurazioni, commercianti, gruppi immobiliari, spesso proprietari di quegli immobili, a pagarsela, la riapertura? Qualcosa non quadra.
PARCHEGGI INTERRATI
Il vero business, comprensibilmente, sarà legato ai parcheggi interrati. Una problematica importantissima, che però lo studio letteralmente non studia, lo salta, lo ignora. D’altra parte, se si vuole tornare a scoprire, nobilmente, il Tumbun de San Marc, il Ponte delle Gabelle e la Conca di Viarenna con il naviglio Vallone, che oggi di fatto sono dei grossi parcheggi per residenti e non, occorrerebbe quantomeno indicare dove collocare le auto, della movida e non. E dove, se non sotto terra? Con quali costi per residenti e fruitori? Tra l’altro, la realizzazione del bacino in San Marco (Vedi FIG. 5 e 6) sarebbe possibile solo demolendo un settore di un Autosilo presente. Non a caso i professori avvertono che dovrà essere l’Amministrazione comunale a trovare una soluzione (5.1.4.2 Via San Marco).
Delle 400 pagine, nessuna è specifica su quale potrebbe essere il vantaggio economico per le casse pubbliche. Nessuna indica un introito fisso o permanente. Un pedaggio, come in antico, utile a ripianare i costi. Si parla solo di spese e, utilizzando parametri standard, di alti guadagni per i privati. Perfino di salari maggiorati. Non si osa accennare a un possibile aumento occupazionale.
APPELLO AI PRESIDENTI DELLE MUNICIPALITÀ
Talune importanti attività economiche e commerciali, compreso bar chic e ristoranti di lusso, sono oggi già presenti e fiorenti nelle zone interessate. Non c’è alcun bisogno di allargarle. Da sottolineare, infatti, che la movida milanese già si svolge abbondantemente lungo o vicino il percorso della Cerchia Interna: Colonne di San Lorenzo, piazza Santo Stefano, San Babila, Brera, Porta Nuova, via Paolo Sarpi, Arco della Pace. Negli scorsi decenni si è fatta molta fatica per tentare di riequilibrare la distribuzione del pubblico serale decentrando cinema, discoteche, teatri e quant’altro. Si vuole tornare a svuotare le zone periferiche, alcune arricchite da gioielli storico-ambientali davvero belli, interessanti e perfino ristrutturati, per poi congestionare il centro storico? I presidenti delle altre otto Municipalità aprano bene gli occhi.
RIVALUTAZIONE DI PALAZZI E NEGOZI
La somma da stanziare per “riaprire” i navigli consisterebbe in circa 406 milioni di Euro. E’ parecchio denaro pubblico. Interamente destinato ad abbellire, con effetti discutibili, solo ed esclusivamente il già ricco e adorno centro storico milanese. E, guarda caso, la cifra totalmente inventata di 800 milioni l’anno di guadagni, non si sa se per l’amministrazione pubblica o per i privati, rappresenta esattamente il doppio della spesa prevista. Come dire: 406 milioni sono parecchi, ma il guadagno è due volte tanto. Pura propaganda ingannevole, non giustificata.
Rimane da chiedersi come mai, date simili premesse, valenti professori del Politecnico caldeggino la “riapertura” della Cerchia Interna.
C’è sì, certo, la speranza di vedere ulteriormente migliorata l’estetica del centro storico, la fruibilità dello stesso, la godibilità turistica. Una forma di tutela ambientale che porterebbe a un aumento della monumentalità già presente. Essa fu gravemente compromessa dalle incoscienti devastazioni del passato, come ha spiegato a suo tempo Antonio Cederna. Va però sottolineato che il centro storico è pur sempre una parte del territorio urbano certamente non degradato. Anzi, introno alle ex Cerchia Interna ci sono le vie più eleganti e ricche della città. Non hanno alcun stringente bisogno di miglioramento. Non rispetto a molti altri quartieri della fascia intermedia e periferica, sottoposti invece a un processo di vero e proprio abbrutimento.
CHI CI GUADAGNA
Non manca il sogno del ritorno alla navigabilità interna, sebbene si sia visto con quali limitazioni e ipoteche. Tuttavia, le casse pubbliche dovrebbero erogare 406 milioni di Euro togliendoli alla soluzione di problemi ben più gravi della città. Si vuole consentire ai possessori di appartamenti e negozi nelle adiacenze della Cerchia Interna d’intascare una somma doppia senza rischiare, senza investire un solo Euro dei 406 milioni. C’è da chiedersi se non sia il caso di portare preventivamente lo studio, qualora dovesse partire, sui tavoli della Procura della Repubblica. O quantomeno di nominare un Antonio Di Pietro alla sorveglianza degli appalti e degli interessi edilizi, nonché degli appetiti immobiliaristi scatenati insieme ai cantieri. Perché se poi i costi lievitano, magari raddoppiano, chi ne risponderà?
Si ha come l’impressione che il Politecnico, messo in disparte dalle logiche della speculazione edilizia, veri e propri avvoltoi dominanti sull’urbanistica milanese, concepita da avvocati e mai da urbanisti, non possa e non voglia lasciarsi sfuggire l’occasione di lavorare attivamente per la città e di metterci le mani come giustamente dovrebbe essere ma finora non è stato consentito.
CONCLUSIONE: RECUPERARE IL PAESAGGIO IN DEGRADO
Ai milanesi bisognerebbe porre un altro quesito. “Preferisci che i 406 milioni siano destinati al recupero delle periferie e delle aree coltivabili, al sistema delle rogge e dei fontanili esistenti, o preferisci destinarli al solo centro storico con la riapertura la Cerchia Interna”? I navigli hanno in Milano solo una parte minima della loro estensione. Essi sono elementi territoriali costitutivi la storia passata, presente e futura della città intera. Essa è estesa da Baggio a Niguarda, da Chiaravalle a Trenno. Sono inseriti in un sistema territoriale vasto, complesso e non frammentabile senza snaturarlo. Riaprire i navigli senza tener conto del degrado esistente nell’ancora attivo sistema agricolo, paesaggistico, ambientale che su essi ancora converge, è semplicemente insostenibile.
Storia e bellezza autentiche della città, gli angoli rimasti pittoreschi, sono nelle zone periferiche. Segnatamente nella componente prettamente milanese del Parco Sud. Qui ancora si conserva un paesaggio autentico, naturale, unico, dove c’è o può esserci dell’agricoltura di qualità. Dove gli antichi borghi, ancora attraversati da rogge e fontanili, sono ancora vivi, quando non stoltamente lasciati in rovina. Ma la vera città d’acqua è questa. Lasciare andare alla malora questa, ancora attiva, per “riscoprire” l’altra senza che ce ne sia necessità, non ha alcun senso.
PROPOSTA SOSTITUTIVA: L’ANELLO VERDE
Nelle aree di periferia è possibile creare un ecoturismo urbano che potrebbe suscitare ammirazione e prestigio.La sola Chiaravalle, per esempio, o l’abbazia di Garegnano, valgono artisticamente la metà dell’intero centro storico. Borghi come Ronchetto delle Rane, Muggiano, Macconago, conservano perfino quasi intatto l’ambiente naturale. Ma sono lasciati all’incuria, se non al degrado, per pura ignoranza degli amministratori che non sanno valorizzare emergenze simili. Gli investimenti pubblici, che portino sano loisir e lavoro, devono essere fatti qui, non dove la città ha meno problemi e fa pagare 10 Euro per una birra. Solo perché ci vive la minoranza privilegiata.
Con le premesse poste dallo studio di fattibilità del Politecnico, il paesaggio urbano cambia poco. Da un punto di vista strettamente ecologico, sarebbe estremamente più vantaggioso pedonalizzare l’intera Cerchia Interna. Converrebbe inserire due file di alberi che completino il giro del centro storico. Il tutto con costi nettamente inferiori, ottenendo un risultato non meno eclatante. Pur tenendo conto del diritto d’accesso per i residenti, si realizzerebbe un autentico anello verde cittadino. Ecco l’occasione per realizzarlo! Una lunga città-giardino in pieno centro storico, grande novità in campo urbanistico.
Roberto Schena (Il cielo su Milano)
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Comprensibili alcune delle critiche, ma il progetto di riapertura è comunque preferibile al trito benaltrismo che in pratica suggerisce l’articolo.
Condivido però che la cerchia interna andrebbe integralmente ciclo-pedonalizzata e – laddove possibile – piantumata.
Eliminare la circolazione degli autoveicoli (pur col limite dei 30 km/h, previsti da progetto) potrebbe anche permettere forse di allargare l’alveo, la cui strettezza è uno degli elementi che si presta a critiche.
Oltre che di restituire il “silenzio” discreto, che si dovrebbe accompagnare alla presenza dell’acqua.
Quanto ai tanti ponticelli pedonali necessari, questi potrebbero essere un’occasione di inserire nuovi elementi architettonici qualificanti. Io peraltro replicherei il ponte delle sirenette dov’era-com’era, lasciando l’originale al parco Sempione.
Il solo laghetto di San Marco, se ben realizzato, varrebbe la fatica e la spesa della riapertura.
Non si parla poi di Melchiorre Gioia, stradone urbanisticamente e viabilisticamente insulso, che invece potrebbe ricavare dalla ripertura un formidabile elemento di riquilificazione (e non stiamo quindi parlando di centro fighetto), che si accompagnerebbe perfettamente alle dinamiche di valorizzazione già in atto da parte di privati (Catella).
E vogliamo parlare dei benefici idraulici per il Seveso?
Quanto alla Martesana, non è navigabile esclusivamente per la presenza di un paio o poco più di ponticelli a raso. Mica per la scarsa portata. Ci vorrebbe pochissimo a sostituirli, che sarà mai?
Insomma, bene fare delle critiche se possono essere costruttive. Ma io da milanese voglio i Navigli riaperti. Integralmente riaperti e navigabili, anche soltanto in linea di principio (nessuno ha mai pensato di poter avere vaporetti al posto dell’autobus)