Il muro innalzato di via Lampedusa: «Lamiere e filo spinato contro migranti abusivi»

Milano

Milano 31 Luglio – Nella città reale non esistono mezze misure e i problemi si risolvono con le prove di forza. Già diffidata dalla Questura prima dello sgombero in via Lampedusa per il perenne immobilismo spesso degenerato nel lassismo,dopo il blitz del 12 giugno che aveva liberato le tre palazzine allontanando 120 immigrati occupanti abusivi, tenendo fede alle promesse — e forse perfino andando oltre — l’Enpam ha alzato un muro di protezione. Per scongiurare nuovi ingressi. In realtà l’Ente di previdenza e assistenza dei medici e dei dentisti, proprietario degli edifici in passato appartenuti all’impero Ligresti, ha fatto realizzare una «muraglia». Se non bastava l’altezza (4 metri circa), in cima ecco del filo spinato; e se ancora era poco, a un dotatissimo sistema di videosorveglianza è stato affiancato l’occhio umano delle guardie giurate.
Va da sé che nella zona, la periferia sudest che si articola tra via Giacomo Antonini e via Virgilio Ferrari, i «reati di strada» si sono drasticamente ridotti. Prima, in concomitanza con la presenza nelle palazzine (in devastanti condizioni igienico-sanitarie) di un alto numero di balordi che dettavano legge a scapito della povera gente, il quartiere aveva subìto un’impennata di furti, borseggi e rapine. Non era una percezione di insicurezza alla vista degli immigrati e men che meno una tendenza a esagerare: come confermato allora da fonti di polizia e carabinieri, c’era un obiettivo problema di micro-criminalità. Ora, avvenuta l’operazione di «bonifica» dell’area, le denunce in commissariato e nella stazione dei carabinieri non rimandano più, come «origine», agli ospiti di via Lampedusa.
Di criticità ne restano, per carità, e sarebbe strano il contrario: ma più di qualcosa, per intanto, è stato risolto e bisogna registrarlo. Al negozio Scarpe & Scarpe di via Antonini hanno ringraziato le forze dell’ordine perché le razzie sono cessate: chi entrava, simulava di provare una scarpa, arraffava quell’altra nella scatola e scappava, e chi voleva svaligiare la cassa. Ugualmente, nella stessa via, si è ridotta la casistica relativa ai finestrini delle macchine parcheggiate infranti per provare ad arraffare qualcosa all’interno poi da rivendere.
Il 12 giugno, dopo una mattinata comunque tranquilla per l’ordine pubblico — nessuna resistenza né opposizione — erano stati accompagnati in Questura dodici stranieri, maghrebini. Di quel gruppo non se ne salvava uno. Gli immigrati avevano numerosi precedenti, compresi quelli di spaccio di droga, «attività» che continuavano ad esercitare sia nel quartiere sia allungandosi nel «boschetto» di Rogoredo. L’area, che la giunta comunale ha deciso di affidare all’associazione Italia Nostra nella speranza di far risorgere uno degli angoli neri di Milano, nonostante i ripetuti e massicci blitz degli scorsi mesi si conferma «piazza» fra le maggiori del Nord Italia, con i traffici nelle mani, per appunto, della malavita nordafricana e la solita coda di tossici, anche quindicenni, per acquistare roba di pessima qualità. Se in una fase iniziale gli spacciatori, oltre a dormire nello stesso bosco, si erano appoggiati ad aree dismesse di quella periferia, con il tempo, come «misura di precauzione», hanno deciso di allontanarsi e scegliere altre soluzioni. Tipo via Lampedusa.
Nelle palazzine, tutte di sei piani, vivevano anche ragazzini, figli di coppie che non avevano soldi per pagarsi un affitto. I topi, nello spaventoso degrado di rifiuti e focolai di epidemie, e nella quotidiana guerra di sopravvivenza per tenersi il posto e non farsi derubare degli stracci, non erano la prima preoccupazione.
Andrea Galli (Corriere)

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