Una riflessione sull’Urbanistica in Italia e a Milano. Intervista al prof. Li Calzi

Milano

Milano 15 Agosto – Riproponiamo l’intervista esclusiva rilasciata dal prof. Epifanio Li Calzi oggi deceduto, perché illuminante ed esplicativa di un deficit legislativo che penalizza lo sviluppo delle città. 

– Sorride e ti sorprende per la capacità di non prendersi troppo sul serio, per la semplicità innata dei gesti, per l’ironia leggera che ravviva le sue argomentazioni, per la sincerità nei rapporti interpersonali, per l’intelligenza e la saggezza delle sue osservazioni, per la preparazione specifica in campo urbanistico. Il prof Epifanio Li Calzi, architetto molto stimato, è stato Docente di Progettazione Architettonica al Politecnico di Milano dal  1969 al 2010: quasi una vita, dedicata con passione e dedizione ai moltissimi studenti che si sono laureati con la sua guida.

Presso il Comune di Milano è stato Vice Presidente della Commissione urbanistica e Assessore ai Lavori Pubblici. Un “tecnico”, quindi, di grande competenza a cui chiedere: “A che punto siamo con la legislazione urbanistica in Italia?”

Dal punto i vista italiano siamo ancora fermi alla legge del 1942 con interventi modificativi e sostitutivi di alcuni articoli introdotti dalla legge 765 del 1968, quindi il giudizio non può che essere negativo perché, anche in questo caso come per la giustizia, si è proceduto con palliativi che non riprendevano nel suo complesso la legge urbanistica nazionale e le norme di applicazione territoriale.

E Milano come l’ha applicata?

Milano è nella stessa situazione nazionale perché non sfugge, in termini di proposta e di regolamentazione, dalle maglie della legislazione urbanistica fondata sul sistema della “cascata” (legge nazionale, regionale, comunale). Quest’ultima con il compito di dotarsi di un piano di governo del territorio che fa riferimento alla tradizionale impostazione “ragionieristica” della trasformazione della destinazione d’uso del suo territorio. Per capire meglio quanto detto, basta far riferimento a due concetti fondamentali del governo del territorio e cioè un’impostazione difensivistica che addita al pubblico ludibrio chiunque edifica e sfugge dal compito di una urbanistica propositiva e un’impostazione innovativa e, appunto, propositiva. Il piano di governo territoriale di Pisapia esalta, se così si può dire, la linea difensivistica: nessuna novità, ma ancora un piano di governo di ideologia di sinistra che si fa un vanto di restringere sempre di più le maglie normative. Non rientrano, evidentemente, in questa visione alcuni concetti come il bello e la descrizione creativa del comportamento urbano. Il suo PGT si fonda sostanzialmente su una lettura statica della forma urbana, (metri cubi edificabili su metro quadrato – altezza – superficie lorda di pavimentazione ecc.) quella che abbiamo chiamato “ragionieristica”. Ma nulla si dice su come deve essere la città nuova in rapporto alla città vecchia, demandando entrambi come elementi da destinare al laissez faire, ad una libertà di intervento non collocata in direttive che esprimono la preponderanza della qualità sulla quantità Per esemplificare e citare la realizzazione di un piano di governo esemplare, si pensi alla Parigi di Hausmann dove l’architettura diventa lo strumento della qualità della vita.

Che cosa intende per bello e creativo?

Per rispondere bisogna fare riferimento alla corrente di pensiero Nord Americana della fine del XIX secolo, quando per merito dell’arch. Bhurnan che agiva come capofila della cosiddetta scuola di Chicago, nel momento in cui, criticando la scuola di New York di Sullivan, contrappose alla città efficiente la città bella. Nasce in questo modo il movimento che prende il nome di “Città bella” che ha una rappresentazione emblematica  nella creazione del Central Park di New York (che diventa dominante per l’Urbanistica mondiale)

Se così stanno le cose, che cosa si può indicare come oggetto di studio e di applicazione per disegnare la città del futuro?

Credo che, partendo dal Movimento prima descritto, ci sono due linee di tendenza da perseguire: da una parte lo studio non più ragionieristico di una prospettiva per la città fondata su una lettura storica del “comportamento urbano” in senso sociologico, (cosa che non è contemplata dall’attuale legislazione e relativi decreti ministeriali applicativi) e dall’altra una ricerca storica che metta in comparazione la città esistente e una possibile città del futuro, non delegando solo all’architettura il compito di qualificare la forma urbana. Per fare un esempio : in questi giorni è stata messa in evidenza che il complesso della chiesa di San Pietro in Roma ha due valenze: una urbana (lettura dall’alto del disegno del Bernini che incide fortemente sulla formalizzazione urbana); dall’altra la chiesa in sé che esalta la funzione specifica dando la qualità e la fruibilità del comportamento funzionale.

Che suggerimenti per Milano?

Lo sforzo logico e pratico deve essere rivolto alla riqualificazione della città, tenendo sempre d’occhio il problema delle periferie. E, se vuole, delle periferie possiamo parlarne nel prossimo incontro.

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