Ne abbiamo abbastanza di contare i morti, dobbiamo reagire.

Attualità

Non è vero che ormai, in Europa, il terrorismo è diventato una componente delle nostre vite alla quale ci tocca fare l’abitudine. Diciamolo chiaro: siamo in guerra, i jihadisti  vogliono eliminarci. Difenderci con ogni mezzo, oltre che un diritto, è un obbligo.

Milano 20 Agosto – Del fiume di parole usate  per commentare la strage di Barcellona mi hanno colpito quelle di Ildefonso Falcones. Intervistato dal Corriere della Sera, lo scrittore spagnolo autore di successi come La cattedrale del male ha spiegato che difronte a un attentato come quello avvenuto sulla Rambla non c’è difesa. «Anche la polizia ha poco da fare», è stato un commento. Dopo la banalità del male saremmo dunque di fronte alla fatalità del male. Il terrorismo islamico c’è e non c’è nulla da fare. Con gente come Moussa Oukanir, ma anche con i fratelli Abdeslan che fecero strage al Bataclan di Parigi, con i fratelli Kouachi che sterminarono la redazione di Charlie Hebdo , o con Mohamed Bouhlal che a Nizza massacrò sotto le ruote del camion 400 persone o con Anis Amri che a Berlino ne uccise 12 inseguendole tra le bancarelle del mercatino di Natale, con gente così bisognerebbe, secondo questa singolare tesi, imparare a convivere.

Il terrorismo islamico c’è, vive e lotta insieme a noi. Anzi, contro di noi. La polizia non può fare nulla per impedirlo, se non rassegnarsi a tenere la contabilità dei morti e scoprire gli assassini della jihad una volta che questi hanno compiuto i loro crimini.

Beh, debbo dire che se questa è la grande intuizione dell’intellettuale occidentale c’è da preoccuparsi. Perché se tutto ciò che sa dire uno scrittore di fronte al sangue sparso nella via di maggior flusso turistico di Barcellona è che non c’è nulla da fare, che anche le forze di sicurezza non possono fermare l’ondata omicida dei fondamentalisti islamici, beh, allora sì che la jihad ha vinto. Se la riflessione attorno al terrorismo religioso si chiude con la conclusione che esso va accettato come una specie di incidente stradale, come un disastro ambientale, come un effetto collaterale del nostro modo di vivere, della nostra libertà, del nostro sistema democratico, delle conquiste che hanno consentito la separazione fra potere temporale e potere religioso, allora è vero che abbiamo proprio perso.

Quella che registriamo nelle nostre città, invece, non è una fatalità del male, ma una guerra contro di noi. E assistere senza fare nulla, accettandola come una delle tante sciagure che ci circondano non è la soluzione. A una guerra, dichiarata o meno, dove il nemico è identificato si reagisce, non si può rimanere con le mani in mano. L’ho scritto non so quante volte. Il primo passo è riconoscere che la guerra c’è e guardarla dritta negli occhi, smettendo di fare finta di niente. Le cose vanno chiamate col loro nome, senza nasconderle dietro le frasi politicamente corrette. lo contro n terrorismo islamico voglio una strategia politicamente scorretta. Non me ne importa nulla della privacy, dei controlli preventivi, degli arresti cautelari, delle limitazione alla espressione di libertà religiosa. Se serve a salvare vite umane, se serve a impedire che la jihad vinca, ben vengano misure speciali, sia benedetta la voglia di reagire.

Io non voglio che l’unica risposta ai terroristi sia: non c’è difesa. Non mi mi rassegno al concetto che dobbiamo stare a guardare con le mani in mano mentre dei bastardi uccidono vecchi, donne e bambini tirandoli sotto con un furgone. Dire che non dobbiamo cambiare n nostro sistema di vita perché altrimenti i terroristi vincono è una scemenza, perché a farli vincere è chi continua a far finta di niente. Sveglia, di fronte alla violenza abbassare lo sguardo non ci salva: semmai ci condanna.

Ps. A proposito di bambini. Qualcuno si è dispiaciuto perché ieri abbiamo pubblicato la drammatica foto di una bambina vittima dell’attentato di Barcellona. Non si fa, è stato il commento. La legge protegge i bambini e la deontologia impone di non pubblicare immagini di cadaveri che creino turbamento nel lettore. Certo, per gli intellettuali politicamente corretti si devono mostrare le immagini del piccolo Aylan, il profugo annegato sulla spiaggia di Bodrum, in modo da suscitare la reazione emotiva dell’opinione pubblica mondiale verso un problema dell’immigrazione, affinché si abbia un rimorso delle coscienze. Pubblicare la fotografia di una bambina uccisa da un criminale islamico, invece, rischia di suscitare l’indignazione, ma anche la rabbia e l’orgoglio e questo non sta bene, rischia di fare di ogni erba un fascio, di ogni islamico un terrorista. lo non penso che ogni islamico sia un terrorista, ma se con Francesco Borgonovo ho scritto L’islam in redazione, ossia l’informazione ai tempi della sharia, è per spiegare quanto sia diventato difficile sui giornali e in tv raccontare le connessioni tra islam e terrorismo. Forse quest’ultimo non ha ancora vinto, ma il conformismo sì. Prova ne sia che l’aggettivo islamico dalle prime pagine è sparito.

Maurizio Belpietro (La Verità)

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