Appoggio alla proposta di Roma, Berlino e Parigi di porre un freno agli investimenti esteri in Europa più opachi:”Serve un approccio comune»
Milano 24 Agosto – All’Europa serve una politica industriale ” comune: e la premessa fondamentale per la crescita, è uno strumento per la lotta alla disoccupazione, può aiutare persino a gestire con più efficacia il tema dell’immigrazione».Per questo, secondo il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, va nella giusta direzione l’asse tra Italia, Francia e Germania per istituire un filtro, se non proprio un freno, agli investimenti esteri poco graditi perché sospetti o provenienti da Paesi che non offrono condizioni di reciprocità: «Sono guerre commerciali, capitano e non vanno demonizzate. Ma al tempo stesso dobbiamo attrezzarci, e solo l’Europa può farlo in modo credibile. Se ci mettiamo ognuno a fare le sue battaglie non si va molto lontano».
L’iniziativa dei tre governi, di cui ha dato ieri notizia Il Sole, ricorda per molti aspetti una proposta lanciata dallo stesso Tajani qualche anno fa, quando era vice presidente della Commissione europea con delega all’industria: «All’epoca, insieme al commissario Barnier, suggerimmo di costituire un’agenzia europea deputata a verificare la natura del investimenti extraeuropei, sul modello di quella americana», spiega a Il Sole. Erano anni,quelli,in cui l’italiana Prysmian se la vedeva con i cinesi di Xinmao per conquistare l’olandese Draka, operazione poi andata in porto che le ha consentito di conquistare la leadership nel business dei cavi:«Oggi come allora l’esigenza è quella di distinguere gli investimenti veri, di chi vuole comprare un’azienda per svilupparla, da quelli di chi punta a prendersi il know how e portarselo a casa». Anche questa volta che nel mirino potrebbe esserci Fca, l’offensiva è cinese, ma «il discorso deve valere per tutti. Penso a Google, ad esempio, e alla battaglia che stiamo conducendo a favore delle nostre media company euro pee: domani potrebbe valere per Facebook o Alibaba, l’importante è sempre garantire un mercato trasparente alle nostre aziende:non è questione di protezionismo, ma la concorrenza deve essere leale».
Così come Roma, Parigi e Berlino, anche il presidente del Parlamento europeo auspica che il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker batta un colpo sul tema il 13 settembre prossimo, al discorso sullo Stato dell’Unione: «I deputati si sono già espressi, a più riprese, per un maggior impegno verso una politica industriale comune. Ora tocca alla Commissione: è finita la stagione degli incentivi, ora servono strategie ambiziose e regole efficaci. A partire, proprio, dal controllo degli investimenti esteri ». Nella lettera inviata all’Esecutivo comunitario il 28 luglio scorso, i tre governi sembrano immaginare una gestione congiunta tra i Paesi e la Commissione, per Tajani invece sarebbe preferibile che in cabina di regia segga solo l’Europa: «Dev’essere una iniziativa di alto pro filo, che non escluda nessuno. Ormai nei settori strategici, dall’hitech allo spazio, ci sono talmente tanti collegamenti e interessi congiunti che è difficile dire se la questione riguardi questo o quello Stato. E meglio che se ne occupi l’Europa, con la Commissione direttamente o un’agenzia ad hoc, coinvolgendo poi tutti i soggetti interessati».
Certo, è curioso che si provi a fare fronte comune sugli investimenti esteri quando si battibecca su quelli interni, vedi il caso Fincantieri-Stx: «Proprio questa iniziativa congiunta è la dimostrazione che serve un’azione comune su tutte le grandi battaglie che ci vedono coinvolti. Vale per il terrorismo, può valere anche per la politica industriale: ne va della crescita e delle prospettive di sviluppo dell’Europa».
Marco Ferrando (Il Sole 24 Ore)
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