Milano 28 Agosto – Friulano di nascita, ha vissuto a Milano per più di 40 anni, diventando il telecronista ufficiale della nazionale di calcio. Bruno Pizzul, 79 anni, è stato telecronista Rai per gli incontri dell’Italia dal 1986 al 2002, e recentemente è tornato a vivere nel suo Friuli.
I suoi primi ricordi di Milano?
«Sono arrivato quando sono stato assunto alla Rai nel 1969 e ho sempre lavorato in corso Sempione, resistendo ai ripetuti tentativi di farmi andare a Roma».
Si era affezionato?
«È stata una scelta di carattere familiare: ero sposato, con 3 figli che si erano ambientati a Milano».
Dove è andato ad abitare?
«In via Losanna, una traversa di corso Sempione, e sono rimasto sempre lì. Non ero lontano dal lavoro e ci andavo in bicicletta. Allora andare in giro per la città in bici non era un gesto atletico particolarmente dispendioso, ma richiedeva un certo sprezzo del pericolo. I primi anni, oltre alla mia, c’erano solo un altro paio di biciclette posteggiate sotto la redazione. Poi con gli anni i milanesi, anche per evitare il traffico, hanno iniziato ad apprezzare le due ruote ma una volta venivi guardato come una specie di matto».
La prima impressione sulla città?
«Chi arriva da fuori resta sempre un po’ perplesso all’inizio, soprattutto per la freneticità di Milano. Ma poi quasi tutti finiscono per fare una vita di quartiere. Anche io ho vissuto la città in questo modo, fino all’ultimo ho frequentato una serie di bar nella mia zona, dove andavo a giocare a scopa o a biliardo con gli amici. Una dimensione quasi paesana».
Negli anni è cambiata molto la zona?
«Un po’ ma non tantissimo. Certo i primi anni era quasi una prima periferia, poi sono state riempite zone verdi con costruzioni. Negli ultimi anni lì si era spostata la movida e la zona era diventata più chiassosa; mentre all’inizio i miei figli andavano a giocare in strada: c’era ancora spazio dove oggi ci sono le macchine».
Milan o Inter?
«Non essendo tifoso né dell’una né dell’altra, finivo per indirizzare le mie simpatie a seconda del momento. Dipendeva chi erano i giocatori, gli allenatori o i dirigenti con cui avevo maggiori rapporti. Ero molto legato a Nereo Rocco, anche per motivi di provenienza, con lui ho sempre avuto molta confidenza. Conosceva bene mio padre e mi aveva visto giocare da ragazzo. Poi ho avuto ottimi rapporti con Giacinto Facchetti. Allora con i calciatori c’erano rapporti più umani, si giocava a biliardo, si facevano tornei di briscola, oggi ci si sente soprattutto sui social e il linguaggio usato è piuttosto fastidioso. A quei tempi c’erano una serie di sfottò, però c’erano anche i rapporti tra le persone».
I locali che frequentava più spesso?
«Fin quando era vivo Beppe Viola, che era un amico, il Derby e quel tipo di locali lì. Poi andavo al Teatro Nazionale. I ristoranti erano quelli classici di Milan e Inter, fin quando ci si è visti con giocatori e dirigenti: “L’assassino” per i rossoneri e le “Colline pistoiesi” per i nerazzurri. Erano gestiti da due fratelli».
Come trova la Milano di oggi?
«Negli ultimi anni ha avuto una ripresa straordinaria per vitalità e manifestazioni di carattere artistico. Il dato relativo ai turisti lo testimonia, sono aumentati tantissimo».
Recentemente è tornato a vivere nella sua terra natale…
«Sì, vicino a Trieste. Non vivo più a Milano da qualche mese. Ho apprezzato molto la città, ma il ritorno alle radici è sempre stato un sogno che ho coltivato».
Fabio Florindi (Il Giorno)
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