Ora arriva il reddito di inclusione per chi è in Italia da 2 anni

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Milano 2 Settembre – Il ministro del Lavoro era stato chiaro. Il Rei, il reddito di inclusione, nuovo sussidio universale per le famiglie più povere, andrà anche agli stranieri, ma solo a quelli che sono in Italia da almeno cinque anni.

Il paletto messo dal ministro aveva messo in allarme la platea sempre più folta dei generosi che chiedono di estendere al massimo il welfare nazionale, già stremato da disoccupazione e crisi, anche a chi è di passaggio. L’idea di fondo che si fa strada è quella di includere al cento per cento nello stato sociale, chi non ha aiutato a crearlo. Si può ribattezzare lo Ius soldi. Una cosa di sinistra fatta, come negli anni Settanta, a spese del contribuente.

I partigiani del welfare per tutti, non escono allo scoperto. Nessuna protesta pubblica per chiedere l’inclusione dei cittadini stranieri, in compenso, molti messaggi lanciati via giornali amici e pressing sul governo.

Lo stesso scenario si era presentato in passato, ad esempio quando è stato varato il bonus mamme. Le associazioni non profit che si occupano di stranieri chiedevano: perché limitare le misure di welfare solo a chi si trova in Italia da anni, perché non includere anche chi ha un permesso di soggiorno breve?

Il Rei, reddito familiare da associare a progetti di inclusione e che può arrivare fino a 485 euro in caso di famiglie numerose, andrà a una platea di cittadini stranieri molto ampia. Oltre ai cittadini dell’Ue (scontato), anche quelli extra Ue che siano titolari di un «permesso di soggiorno di lungo periodo», residenti in Italia da almeno due anni al momento della presentazione della domanda. Ma non c’è l’obbligo di lavorare in Italia, come in altre misure sociali.

Durante l’iter parlamentare le opposizioni di centrodestra avevano presentato vari emendamenti per estendere il requisito di residenza a dieci anni, ma sono stati tutti respinti. Ha più voce chi chiede di allargare la platea. Facile immaginare che con la versione, un po’ ambigua, con l’obbligo di essere residente da 24 mesi, saranno in molti a provare a chiedere il sussidio, anche se vivono fuori dai confini.

E questo scenario potrebbe aggravarsi con lo Ius soli, spiega Lucio Malan, senatore di Forza Italia. «Facile si verifichino casi in cui la famiglia faccia prendere la cittadinanza a un figlio e vadano a cercare lavoro fuori dall’Italia. Salvo poi tornare se hanno bisogno di cure mediche o di un sistema scolastico gratuito».

Uno scenario i cui effetti finanziari sono tutti da calcolare. In caso di approvazione dello Ius soli, ci sarebbero subito circa 800 mila nuovi cittadini italiani e poi altri 60 mila all’anno. A molti stranieri fa gola più il welfare tricolore che il passaporto italiano. E se accettano il secondo è solo per avere pieno accesso al primo, spiega Malan.

La politica ha assecondato questa tendenza. Tutte le ultime misure sociali includono cittadini stranieri, con limitazioni sempre meno nette.

Sono accessibili agli stranieri, il bonus asilo nido, l’assegno di maternità dei comuni per gli stranieri per le madri disoccupate, i contributi per l’affitto e anche i famosi 500 euro del bonus cultura di Matteo Renzi. Poi anche la Sia e la nuova versione, il Rei.

In passato, in un contesto politico completamente diverso, l’Inghilterra scelse la strada di un welfare generoso con gli stranieri che non avevano lavorato in patria. Il risultato fu che migliaia di europei – in particolare italiani in fuga da un Paese dove lo stato sociale costa molto ma non arriva ai cittadini – si trasferirono a Londra per avere quel sussidio universale che in patria non esisteva. Poi, un po’ ovunque, si è scelta una strada diversa e tanti italiani che vivevano dello stato sociale britannico hanno dovuto fare i bagagli.

Antonio Signorini (Il Giornale)

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