Questa caserma non è una casa

Milano

Dopo Roma, anche a Milano qualcuno pensa a cosa fare per aumentare i posti per l’accoglienza dei migranti. E, già che ci siamo, per gestire un patrimonio immenso, quello delle caserme in disuso. Il tema non è affatto secondario, per due aspetti: intanto, come ampiamente previsto, lo stop agli sbarchi era solo metà del lavoro. L’altra metà sarà gestire chi qui c’è arrivato. Anche perché, beffa massima, quando questa gente scopre che gli è arrivato il permesso di restare e la tanto agognata “protezione” internazionale, poi scatta la beffa di essere buttati in strada. Intendiamoci, non è sbagliato smettere di finanziare i loro ozi Italiani, è solo assurdo farlo improvvisamente dopo due anni in cui non hanno avuto alcuna reale opportunità di trovarsi un lavoro vero. In ogni caso, il primo problema è dove metterli. E la soluzione della Raggi e di Sala è nelle caserme. Ed è un’idea peculiarmente stupida. Le caserme sono, o almeno potrebbero essere, un asset fondamentale per fare cassa. In primis, sono spazi enormi già edificati. Quindi, sempre ammesso che questa cosa esista, producono zero consumo di suolo. Inoltre, in alcuni casi, sono baricentriche. Quando non addirittura centrali. Gli spazi sono giganteschi, le possibilità edificative infinite. Purtroppo non portano e, finora, non hanno mai portato un solo centesimo nelle casse pubbliche. Perché? Perché ci ostiniamo, con caparbietà a far decidere alla sciura Maria, dirimpettaia della stessa, cosa farci dentro.

La sciura Maria è una brava persona. Ma non è un’urbanista. Non ci va nemmeno vicina. E la storia della caserma Mameli è paradigmatica. Sita nel nono Municipio è in attesa da anni di essere riqualificata. Ci sono stati bandi, gare ed ora un progetto che va approvato. Un progetto partecipato. È un anno, almeno. Probabilmente di più. Di tutto quello che ho sentito, l’unica proposta sensata era quella di un parco (che ci sarebbe stato comunque) con un cippo a commemorare i Bersaglieri. Il resto è burocrazia e pianificazione coi soldi degli altri. I lavori non so a che punto siano, ma sospetto che non siano mai partiti. In ogni caso il punto è un altro: un pubblico incanto avrebbe portato soldi veri al Comune. Ad una condizione: che la sciura Maria, e gli n comitati non ci avessero parte. E che si lasciasse al privato ed al mercato fare il proprio lavoro.

E con “fare il proprio lavoro” significa dare la possibilità teorica, di abbattere e rifare tutto. Da capo, se necessario. E poi disinteressarsene. Altrimenti si deprezza l’intera operazione. Sempre che dentro non ci si voglia mettere qualcuno. A quel punto salutiamo pure l’intero edificio. Ed i fndi che sarebbero potuti arrivare al Comune.

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