Non è punibile anche se da 7 anni tiene in ostaggio il micio della porta accanto. E il valore affettivo? Non conta niente
Ruba il gatto ai vicini, ma il giudice la assolve: fatto lieve, come rubare una scatoletta di tonno al supermercato. Animali come cose. Se qualche settimana fa aveva destato clamore la sentenza con cui la Cassazione aveva assolto un senzatetto accusato di aver portato via da un minimarket qualche wurstel ed un po’ di formaggio, l’altro giorno il Tribunale di Roma (Prima Sezione Penale) ha applicato il principio al mondo animale. Scagionando una donna che 7 anni fa aveva preso il micio dei dirimpettai, senza mai restituirlo. Evidenti le diversità tra le due vicende, come pure le affinità giuridiche: per gli ermellini non è reato il furto di necessità, se indotto dalla fame, qualora il bottino sia scarso. Ma appetito a parte, se oggetto del ladrocinio è un felino, essenziale per far scattare la punibilità del reo è comunque il parametro del valore venale. Col risultato di equiparare gli animali d’affezione a meri oggetti. Per capire quanto solidi siano i fondamenti di quest’orientamento occorrerà attendere le motivazioni, ma un dato è certo: per i giudici romani il rapimento di Pongo non è da punire penalmente.
Il micio dal pelo candido era scomparso nell’ottobre del 2009 dal cortile della palazzina nella quale viveva coi suoi padroni, dalle parti di Val Melaina. Una delle condòmine, infastidita dalla presenza del felide, se n’era lamentata con i proprietari. E l’indomani, al telefono, riferì loro d’averlo preso per portarlo da un veterinario, sebbene la bestiola non lamentasse alcun male. Di fronte alle richieste di restituzione, poi, la gattàra aveva fatto orecchie da mercante, rivendicando anzi il rimborso delle spese sostenute. A seguire, indagini, processo e assoluzione. «Per particolare tenuità del fatto», recita il dispositivo, richiamando il decreto legislativo con cui, nel marzo del 2015, il governo Renzi ha introdotto la «non punibilità per particolare tenuità dell’offesa». Una mossa pensata per sgravare il sistema giudiziario da procedimenti ritenuti inutili, in cambio dell’impunità agli autori di reati sanzionati con pena detentiva non superiore a 5 anni. «La norma non riguarda le condotte caratterizzate da crudeltà e motivi abietti o futili in danno degli animali», si affannavano a precisare dal ministero di Grazia e giustizia al tempo della pubblicazione del provvedimento.
Tuttavia, come le pronunce dei Tribunali sembrano confermare, l’assunto pare valere solo in caso di maltrattamenti, e manco sempre, visto che proprio un anno fa a Milano se l’era cavata con un buffetto l’edicolante sorpreso a tirare calci ad un bassotto: assolto per tenuità del fatto. «Resto basito», dice ora l’avvocato Daniele Bocciolini, insieme al collega Giuseppe Marazzina difensore dei proprietari di Pongo. «Già è assurdo che un animale venga tecnicamente considerato al pari di un oggetto aggiunge il penalista – ma qui si è pensato solo al valore economico senza tener conto del valore affettivo che può avere un animale nell’esistenza di una persona». Del resto, la monetizzazione dei sentimenti per via giudiziaria non è affatto una novità: appena entrato in vigore il decreto tana libera tutti, a Ferrara era arrivato il colpo di spugna per una ragazza che aveva venduto un chihuhaua, morto una volta concluso l’affare: imputata di frode in commercio, era stata prosciolta per l’irrilevanza economica della transazione. Perché in Italia, dove tutto ha un prezzo, ciò che non ha un prezzo anche se è amore – non merita nulla. Nemmeno giustizia.
Gianpaolo Iacobini (Il Giornale)
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