Milano 10 Settembre – Supernova. Com’è stato ucciso il MoVimento 5 stelle è un noir politico: c’è un delitto (un omicidio), una vittima (un partito), molto colpevoli e diverse armi del delitto. I due autori, Nicola Biondo e Marco Canestrari, hanno raccontato nel loro libro appena uscito la nascita, lo sviluppo e la fine violenta dell’idea di Gianroberto Casaleggio, avendola osservata da una posizione privilegiata, quella di outsider del Movimento. Canestrari, che ha diretto l’ufficio comunicazione del M5s alla Camera dei Deputati dall’aprile 2013 al luglio 2014, racconta a tempi.it di essersi fatto rapire «dall’idea di una forza politica orizzontale, che facesse emergere davvero i talenti. Ora, il M5s è funzionale solo alla carriera dei pochi che hanno tentato, con successo, di scalarlo e impadronirsene». Il libro esce in occasione dei dieci anni dal V-Day, «ma quando oggi parliamo del M5s, stiamo parlando di un brand vuoto: è rimasto il marchio, ma la sostanza non esiste più» dice a tempi.it Biondo, che ha lavorato alla Casaleggio Associati dal 2007 al 2010 occupandosi anche del blog di Beppe Grillo. «Il partito è morto nel suo approccio con i media, con la politica e con i poteri. In pratica, è diventato un vecchio partito, proprio quello a cui si volevano opporre».
L’INIZIO DELLA FINE. Secondo i due autori, alla base di questa tragedia politica c’è il tradimento dei valori fondanti del partito teorizzati da Casaleggio e i continui voltafaccia che si sono susseguiti. «Un partito politico coincide con le sue idee, i suoi principi, perciò basta distruggerne uno per far crollare tutto» spiega Biondo. Volendo trovare un momento storico preciso in cui il Movimento ha cominciato a morire, i due autori indicano il periodo fra il 2010 e il 2011, «quando si rinnegò il fatto che siano i territori a scegliere i propri candidati, uno dei punti cardine dell’idea politica di Casaleggio. In particolare, alle elezioni in Emilia Romagna e in Campagna, i candidati Roberto Fico e Giovanni Favia non vennero scelti dagli iscritti, ma ricevettero un’investitura dall’alto. Questa interferenza nella scelta della leadership ha segnato l’inizio della fine».
DELIRIO OMERTOSO. La cosa più inquietante, sottolinea una fonte interna del M5s a cui il libro dà voce, è che ogni voltafaccia susseguitosi nel tempo all’interno del partito «si svolge nel silenzio, in un cupo delirio omertoso». L’insider stila una lista di regole che vanno cambiate, tra cui il possibile uso di fondi pubblici per attività di propaganda e organizzazione eventi, che romperebbe il tabù della “politica a costo zero”. «È un documento eccezionale che manda in frantumi lo storytelling del M5s. Come si spiegano i 108.000 euro spesi per “eventi sul territorio” in tre anni da Di Maio, se con non la costruzione di una propria corrente?» commenta Canestrari. Così come un’altra frattura è stata generata dalle tensioni tra Milano e Roma: l’insider racconta che spesso si dovevano fare «grandi e approfondite riunioni con il direttorio per trovare una soluzione alle richieste deliranti di Milano» e che «sull’utilizzo dei fondi di gruppi secondo le richieste di Milano non ci sono prove se le richieste siano state esaudite e in che modo». «Il direttorio nasce anche per spostare il baricentro delle decisioni da Milano a Roma» dice Canestrari. «È qui che il Movimento si parlamentarizza e svanisce “l’uno vale uno”».
AUTORITARISMO DEI LIKE. È per queste ragioni, dicono gli autori, che «non ha senso per il Movimento proporre un programma, fra l’altro votato da sempre meno persone, perché quel programma non ha valore se viene poi scardinato dalle basi. La tattica si può cambiare lungo il percorso, ma l’obiettivo deve essere chiaro fin da subito». Se all’inizio l’obiettivo era la democrazia diretta, «si è invece arrivati ad un autoritarismo in cui basta un post o un like sbagliato per essere espulsi». Anche l’uso esasperato dei social ha contribuito al fallimento, perché ora, spiega Biondo, «non ci sono più iscritti al partito, ma fan. Il sogno iniziale invece era quello di avere cittadini informati».
SELFIE. La morte del M5s non è il crollo di un’utopia, sottolinea Biondo, ma il risultato inevitabile della perdita della propria dignità e coerenza, «sia come uomini sia come servitori del popolo»: «Non mi indigno se Di Mano incontra gruppi di industriali e l’establishment, anzi, un politico deve conoscere la realtà in cui si muove. Ma non può assolutamente rimangiarsi le proprie posizioni e mentire. Non può sostenere, per esempio, che i grillini non sono mai stati antieuropei. Si scende così in basso è perché si sono persi i valori fondanti e non si ha un programma. E solo per mantenere il potere, allora un giorno siamo un po’ Rajoy ma anche un po’ Farage, un giorno siamo un po’ americani ma continuiamo ad apprezzare Putin. Questo è solo scattarsi un selfie, un gesto effimero e superficiale che segue la moda del momento».
Francesco Parodi (Tempi)
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