Milano 17 Settembre – Sfrattata a 95 anni. Senza pietà. Come una delinquente. “Alla mia età, dopo aver lavorato come una bestia, non mi aspettavo proprio di dover subire una cosa del genere”. Il lamento arriva dalla signora Giuseppa Fattori, nata a Fiastra, sulle montagne in provincia di Macerata. La burocrazia, l’accusa di abuso edilizio: dopo il terremoto, visto che la sua casa era distrutta, i famigliari ne hanno fatta costruire un’altra. Lunedì prossimo – racconta Il Giorno– la casetta finirà sotto sequestro. Lei giura battaglia, non vuole andarsene, e in paese è nato il comitato “Salviamo Peppina”.
La vicenda – Una delle figlie dell’ anziana, Gabriella Turchetti, è andata a prenderla dopo il terremoto e l’ha portata a Castelfidardo, poi a Civitanova dall’altra figlia. Ma Giuseppa non ha resistito. Una volta che era sola in casa, la donna ha chiamato un parente e si è fatta riportare a Fiastra: pur di rimanere vicino alla sua casa, ha scelto di vivere nel container che avevano acquistato dopo il terremoto del 1997, senza acqua, luce e servizi igienici. Le figlie, straziate, si sono attrezzate per fornire al container tutti i servizi. Ma vivere lì era assolutamente proibitivo per la salute, quindi le figlie le hanno fatto costruire una casa di 70 metri quadri in legno, nel terreno edificabile lì di fianco alla casa familiare, sempre di loro proprietà. Hanno pensato a tutto: la domanda in Comune, la perizia geologica, i pareri dell’ente Parco dei Sibillini. Hanno depositato il progetto per la legge antisismica.
Concessione edilizia – Dopo aver finito il lavori, ad agosto hanno chiesto la concessione edilizia al sindaco Claudio Castelletti. Che ha emesso un’ ordinanza per fermare il cantiere abusivo, ma ormai era tutto finito e l’ anziana si è trasferita. Un controllo dei carabinieri forestali ha rilevato l’ illecito, e così è partita la segnalazione alla procura di Macerata. Lunedì scatta il sequestro.
“Se aggiustassero la mia casa, io tornerei lì”. In quella casa con mio marito ho vissuto per 75 anni: sono entrata che non avevamo i piatti per tutti, e alla fine non sapevamo più dove metterli”, racconta la donna a Il Giorno, “abbiamo lavorato sempre, anche la domenica, per far studiare le figlie fuori. Avevamo tutto, e ora alla mia età non ho più nulla, in questa casetta non ho le mie cose, non trovo più niente. Ma almeno sono qui. Mi sento morire se penso di dover andare via, e dove poi? Non c’ è un altro posto per me. In questa casetta non sento più nemmeno le scosse, mi sento sicura. Io voglio morire qui”.
Legalmente, come si può salvare Peppina? L’avvocato Bruno Pettinari spiega: “Ci vorrebbe un intervento della Regione una sanatoria almeno per chi, come in questo caso, aveva le carte in regola per costruirsi la casetta, e semplicemente non ha aspettato i tempi lunghi della burocrazia”. (Libero)
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