Non sono più selvatici, non sono ancora domestici. Per questo non tollerano di essere considerati come un Fido ma con meno esigenze. E si esauriscono…
Solo trent’anni fa, negli ambulatori veterinari, era piuttosto raro occuparsi di un gatto malato e le conoscenze sulle malattie dei felini domestici hanno avuto un enorme impulso proprio negli ultimi tre decenni, quando sua Maestà, ha cominciato a entrare nelle case e a dormire sui letti di famiglie letteralmente ammaliate dal suo sguardo misterioso e dal suo affascinante comportamento. Un famoso testo inglese di patologia felina inizia così: « Cat isn’t a little dog » («Il gatto non è un piccolo cane») a significare che sono due organismi del tutto diversi. Oggi i gatti domestici sono stressati da proprietari che si aspettano da loro comportamenti propri del cane. Questo almeno è quanto ne pensa John Bradshaw, esperto di comportamento animale e direttore dell’Anthrozoology Institute all’università di Bristol. Intervistato dal Telegraph , il ricercatore sostiene che i proprietari di gatti non capiscono che riempirli di coccole, come comunemente si fa con il cane, non li rende necessariamente più felici, anzi spesso l’eccessivo contatto con l’uomo li rende preda di malattie indotte dallo stress. «Diversamente dal cane – afferma Bradshaw – il gatto è ancora in uno stadio intermedio tra un animale selvatico e domestico e non si diverte proprio a vivere nel 21° secolo».
Secondo Bradshaw i proprietari pensano che il gatto sia praticamente un cane con minori esigenze, mentre non capiscono che bisogna cercare di entrare nei suoi complicati meandri mentali per comprendere che ha un modo suo di vivere. Tutto parte dal processo di domesticazione che avviene tra l’uomo e il cane per una sorta di mutuo accordo, un dialogo nel tempo, che Konrad Lorenz ci racconta in modo esemplare all’inizio di « E l’uomo incontrò il cane ». In sostanza il patto prevedeva un controllo della caverna, con tanto di mogli e bambini, contro un bel pezzo di carne rimediato dal cacciatore senza alcuna fatica per il quadrupede. Poi è venuta la caccia, la protezione delle greggi, l’aiuto agli invalidi e tutte le altre funzioni canine. Con il gatto è andata diversamente: l’uomo si è accorto che era capace di tenergli la casa sgombra dai topi e, senza accordi di sorta (il gatto non scende a patti), il rapporto si è consolidato nel tempo, purchè il felino potesse uscire dalla porta della grotta quando voleva. Se c’è una cosa che i gatti odiano, sono le porte. E non amano la confusione e l’eccessiva presenza dei propri simili. Bradshaw, per un futuro programma che sarà trasmesso dalla Bbc ha studiato, tramite telecamere a infrarossi, il comportamento notturno dei gatti di casa. Quello che è emerso dall’analisi dei filmati è che quando in casa vi sono diversi gatti, questi lottano fra di loro per il posto sul letto del proprietario o per l’angolo più confortevole dell’appartamento. «I gatti – afferma il ricercatore – possono vivere in uno stesso edificio, ma fanno una gran fatica a condividerne gli spazi».
Quanto al loro affetto, secondo l’etologo, noi ci aspettiamo che ci siano molto affezionati. La realtà è che per alcuni è così, ma per molti altri no. Il fatto è che loro hanno altri grilli per la testa: tenere a bada il gatto del vicino, guardare gli uccelli che si posano sul davanzale e valutare se arrivano ad afferrare la farfallina appena entrata in casa. E non osate rompergli le scatole in questi sacri momenti con le vostre dannate coccole che pretendono un lauto ritorno di fusa. Le fusa le fanno quando pare loro.
OSCAR GRAZIOLI (Il Giornale)
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