Milano 8 Ottobre – È una rosa in marmo bianco l’ultimo ritrovamento dello scavo archeologico nei giardini Montanelli. Il cantiere aperto dalla Soprintendenza alle Belle Arti, Paesaggio e Beni archeologici della Città metropolitana ha chiuso ieri, ad un mese dall’inizio dei lavori di ricerca. Gli scavi hanno portato in luce un’importante porzione delle antiche murature e consentito per la prima volta di «fissare con esattezza la posizione della chiesa», spiega la soprintendente Antonella Ranaldi. Prima infatti erano stati cercati i resti della chiesa edificata dal vescovo Ambrogio in onore dei martiri e poi dedicata al suo predecessore San Dionigi, demolita dagli austriaci per fare spazio ai giardini pubblici e al Museo di Storia naturale.
Il progetto di ricerca sulle Basiliche extramurarie finanziato dal Mibact non è concluso. Gli scavi proseguono ora «seguendo l’orientamento del muro. Si tratta di un importante ritrovamento che ha centrato il muro sul fianco della chiesa», aggiunge Ranaldi. La Soprintendenza ha coinvolto le università Cattolica, dell’Insubria e il Politecnico di Milano. Dal primo scavo, e dunque presenti nell’area interna alla chiesa, sono riemerse anche tre sepolture, una delle quali contenente uno scheletro. Per questo sul posto per giorni hanno lavorato gli esperti del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Istituto di Medicina della Statale guidati da Cristina Cattaneo.
L’edificio fu mutilato, per costruire le mura spagnole e la parte più importante del presbiterio continua sotto i Bastioni. Dove non si potrà scavare. Ma al termine delle indagini archeologiche, l’obiettivo è di riportarla in vita, anche con l’ausilio, chissà, della realtà aumentata. La soprintendente pensa ad «un allestimento che riporti la memoria di San Dionigi in questo luogo, ad esempio con un pergolato e un roseto». Oggi fuori dallo scavo sono stati allestiti pannelli che raccontano la storia di questo sito.
La chiesa di San Dionigi era una delle quattro fondate da Ambrogio, vescovo di Milano dal 374. Insieme a San Nazaro, Sant’Ambrogio e San Simpliciano, formava un quadrilatero, o secondo altri una croce. «Le chiese erano situate in posizione strategica, una opposta all’altra, fuori dalle mura, vicino alle porte della città — spiega la soprintendente —. San Dionigi vicino alla porta orientale, ad Oriente». In Cappadocia, infatti, si rifugiò costretto all’esilio per aver combattuto l’arianesimo.
Le murature ritrovate risalgono forse al IX secolo dopo Cristo. «Una fase costruttiva in cui si utilizzava materiale eterogeneo di reimpiego, probabilmente della chiesa precedente. Sono presenti mattoni romani nelle fondazioni, frammenti di marmi greci di Eubea. Testimoniano di una fase forse Carolingia, un’analogia con altri interventi coevi sulla città e con l’itinerario delle 12 chiese matrici di Milano», sottolinea Ranaldi. Qui passò anche San Barnaba, primo vescovo della città. La pietra tonda con un foro al centro in cui si racconta conficcò la croce è oggi conservata nella chiesa di Santa Maria del Paradiso, in Romana. Altre testimonianze della chiesa demolita ne ricordano i fasti. La più antica immagine è custodita in un dettaglio della croce di Ariberto che, come il sarcofago che ne custodisce le spoglie, fu portata in Duomo dov’è tuttora esposta nel Museo. E in Duomo c’è anche la vasca in porfido che un tempo forse ospitò le reliquie di S. Dionigi.
Paola D’Amico (Corriere)
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