Milano 17 ottobre – Non solo l’imputato è raggiunto dalla prova granitica” del Dna “diretta in quanto rappresentativa direttamente del fatto da provare, collocandolo sul luogo dell’omicidio” ma anche “da una serie di elementi indiretti che uniti tra di loro consentono di giungere a una sicura affermazione di responsabilità”. Lo scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia nelle motivazioni di quasi 400 pagine con cui confermano l’ergastolo per Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio.
E’ valida la prova del Dna perché “non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive” riguardo la prova regina che ha portato all’ergastolo Massimo Bossetti per il delitto di Yara Gambirasio. “Si deve ribadire quindi ancora una volta e con chiarezza che un’eventuale perizia, chiesta a gran voce dalla difesa e dall’imputato, consentirebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris”, scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia confermando il carcere a vita per il muratore di Mapello. I giudici aggiungono che “non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni” del Dna trovato sul corpo della tredicenne. Ed è per questo che una perizia sarebbe stata un controllo del lavoro dei consulenti dell’accusa e della parte civile. (Ansa)
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