La tigre che amava giocare a nascondino con i topolini.

Zampe di velluto

Il gatto è indipendente fin quando gli fa comodo.

Nato in un paesino dell’Istria a circa 14 chilometri da Pola, sulla strada che va ad Abbazia, passavo le vacanze estive nelle campagne circostanti con qualche puntatina da mia nonna che, fortunata, aveva una cisterna da cui abbeverarsi e combattere la calura. Un anonimo giorno d’estate mi trovavo, appunto, ad attingere l’acqua con il secchio e mentre la carrucola scorreva cigolando sentii un miagolio. Era un piccolo gattino che chiedeva anch’esso ristoro mentre stava rintanato all’ombra della vera da pozzo. Una carezza bastò perché poi mi seguisse fino a casa senza che me ne accorgessi, ma vicino all’uscio si pose il problema che ovviamente doveva essere risolto dalla mamma visto che io avevo sette anni e non potevo certo decidere se tenere o no il gattino che, vista la sua giovine età, era pure un po’ spelacchiato. Si sa che il pelo si aggiusta e diventa morbido con il tempo.

Non c’era scelta, ed alla fine non poteva che accoglierlo con noi anche perché di fatto venne lasciato libero ma nutrito quando serviva. Insomma non come i gatti di casa che, poveri, non escono mai. Non si allontanava molto e spesso lo trovavamo che dormicchiava sulla panca in pietra a fianco all’uscio. Il gatto, libero durante il giorno, si presentava a casa all’ora di pranzo ma soprattutto alla sera  dove trovava tutta la famiglia riunita e non mancava di mostrare la sua abilità con i topolini di campagna. Riusciva a giocare anche con due contemporaneamente con le sue veloci zampette lasciandoli liberi per un istante per poi riprenderli con una velocità che stupiva tutti. Non si capiva se fosse un gioco oppure il preludio di una mattanza ma il finale non si è mai visto. Al massimo i topolini erano storditi ma nessuno si preoccupava di quanto succedesse perché presi dalla cena prima e dal sonno poi quando si saliva in camera non ci si preoccupava del resto. Il micio amava dormire vicino a me spesso si infilava sotto le coperte e magari mi graffiava inconsciamente. Ad un mio lamento interveniva la mamma che lo cacciava in malo modo. Così trascorsero alcuni mesi o forse anni assieme ad un amico discreto ma che quando voleva sapeva pure dimostrarti la sua riconoscenza ed affetto. I gatti sono cosi, li devi prendere quando vengono e lasciarli andare-quando vanno. Era arrivato, nostro malgrado, il triste momento in cui ci dovemmo trasferire.

Come si poteva portare, a quei tempi, un gatto appresso ed attraversare confini con tutti i problemi che c’erano. Così, a malincuore, lo lasciammo a casa con i parenti, gli amici e tutta una vita anche se poca per noi bambini. Una zia, sorella della mamma, si prese cura di lui semplicemente portandogli da mangiare. Non potevamo pretendere che lo adottasse ma i fatti hanno dimostrato che non sarebbe stato possibile. Notizie ci venivano dalle rare lettere che arrivavano ma, dopo circa un anno, quella più brutta. Zia diceva che il gatto stazionava tutto il giorno davanti alla porta chiusa della casa o seduto sulla panca in pietra che verso il tramonto era particolarmente confortevole in quanto riscaldata dal sole del giorno. Però non mangiava il cibo che gli veniva portato e ci si chiedeva come facesse a sopravvivere. Sapevamo che era molto intraprendente e con la sua indole felina fece quello che i suoi simili fanno da sempre: andò a caccia e, nel caso specifico, di galline nei pollai del paese e in una di quelle scorribande si imbattè in un cacciatore che purtroppo…lo uccise. Rimane solo l’immagine del mio gattino che aspetta vicino alla porta di casa il ritorno del suo padrone che poi ero io. . Assomigliava molto a quello che è in foto e che adoro anche se è di mio figlio ma questa è un’altra storia.

EDOARDO RADOLOVICH (Libero)

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