Milano 24 Ottobre – Per il vizio che abbiamo noi italiani di mettere tutto in commedia, la rapina di via Osoppo del 27 febbraio 1958 ispirò un film: «Audace colpo dei soliti ignoti», fortunato sequel diretto da Nanni Loi nel 1960 dello straordinario «I soliti ignoti» di Mario Monicelli. A far da mattatore anche nel secondo film, tra gli altri, c’era Vittorio Gassman nella parte di un ex pugile attratto da belle donne e dai soldi facili. Anche nella banda di via Osoppo c’era un ex pugile che amava la bella vita, Eros Castiglioni, ma non era il leader del gruppo. Il capo indiscusso, nonostante lui lo negasse, era Ugo Ciappina, all’epoca trentenne già con un curriculum criminale di tutto rispetto. Ciappina si era distinto come membro della «Banda Dovunque» e aveva scontato sei anni in galera, dove aveva conosciuto tra gli altri Luciano De Maria, altro fuorilegge con il pedigree.
I due avevano già messo a segno alcune rapine, ma il «colpo dei colpi»,quello che li avrebbe messi a posto per un bel po’, era stato progettato da Ciappina, che aveva formato una banda di sette persone e aveva organizzato anche le prove generali. Il modello veniva dalla Francia, dove la «banda dei marsigliesi» aveva rapinato con successo un blindato porta valori del Crédit Lyonnais. Ma i modelli venivano anche dall’America: a Boston nel 1950 era stato assaltato un furgone della agenzia portavalori Brinks, che fruttò oltre un milione di dollari e ispirò il film «La rapina del secolo».
Ciappina e compagni erano dunque al passo con i tempi e la mattina del 27 febbraio 1958 entrarono in azione. Nelle settimane precedenti avevano studiato il percorso di un furgone blindato della Banca Popolare di Milano, che tre volte alla settimana faceva la spola tra piazza Meda e le varie agenzie. Quella mattina – detta di «san Paganino», perché era il 27 del mese e si pagavano gli stipendi – sul blindato della BPM c’eramo l’autista e un commesso muniti di pistole, più un agente di polizia armato di mitra sul sedile posteriore. Erano partiti dalla sede di piazza Meda passando per l’agenzia di via Cagnola al Sempione, quindi si erano diretti per depositare i soldi all’agenzia di via Rubens 3. Il tragitto prevedeva il transito da piazzale Brescia e via Osoppo.
Qui, all’incrocio tra via Osoppo e via Caccialepori, scelto alla gang perché particolarmente spazioso, avvenne l’assalto. Alle 9,23, come documentò Franco Di Bella nelle sue puntualissime cronache sul Corriere della sera, scattò il piano dei sette malviventi che si servivano di 4 veicoli, tutti rubati e con targa falsa. All’arrivo del furgone, una Fiat 1400 beige attraversò lo spartitraffico, all’epoca non asfaltato ma erboso, e gli tagliò la strada. L’autista della 1400, Arnaldo Gesmundo, detto «Jess il bandito», aprì lo sportello e saltò nell’erba, mentre l’auto, per un errore di manovra, ripartiva di botto da sola e finiva contro il muro del numero 7 di via Osoppo. Il blindato si era appena rimesso in moto dopo il finto incidente quando entrò in azione il secondo mezzo dei malviventi, un camion OM Leoncino: arrivò da sinistra e speronò violentemente il blindato all’incrocio. Alla guida c’era il trentenne Arnaldo Bolognini: mentre aspettava l’arrivo del mezzo della BPM, era entrato in una drogheria e aveva ordinato un etto di taleggio e due panini. Il suo volto da bravo ragazzo fu il primo appiglio per le successive indagini. L’altro particolare che sarebbe stato fatale alla banda erano le tute blu con cui erano camuffati. Un particolare che ricordava la Banda dei marsigliesi: nell’assalto al portavalori del Crédit Lyonnais i banditi vestivano tutti tute grigie.
Appena speronato il furgone portavalori, Bolognini scese dal camioncino impugnando un martello, infranse un finestrino posteriore del blindato e assestò un colpo alla testa del povero agente Mario Tedesco strappandogli via il mitra. Il commesso e l’autista della BPM a quel punto scesero dall’auto e si trovarono presi alle spalle dagli altri banditi, che intimarono il «mani in alto». Il resto fu un gioco da ragazzi: nove cassette di sicurezza trasferite su un furgone – rubato a un macellaio in zona Washington – e la fuga a tutta velocità a bordo di questo e di una Alfa Romeo Giulietta Sprint rubata a Bergamo. Il colpo era stato perfetto, anche perché non c’erano stati morti né feriti gravi; gli unici colpi erano stati sparati in aria per tenere lontana la gente. Sulle prime si credette a un incidente: i passanti andarono verso la 1400 schiantata contro il muro, finché si resero conto che era in corso una rapina. L’azione durò non più di tre o quattro minuti. L’auto ammiraglia usata per la fuga venne abbandonata in corso Sempione, mentre il furgoncino con i soldi venne ricoverato in un garage di un condominio di via Chinotto 40, dalle parti di via Novara, dove la banda al pian terreno aveva acquistato un piccolo appartamento.
In quel condominio di periferia si ritrovarono i sette uomini d’oro: Ugo Ciappina, Luciano De Maria, Arnaldo Bolognini, Arnaldo Gesmundo, detto «Jess il bandito»; Ferdinando Russo, detto «Nando il terrone» perché veniva da Taranto, il più vecchio della compagnia, 45 anni, Enrico Cesaroni detto «Enrico il droghiere», ed Eros Castiglioni, l’ex pugile. Il bottino, che era di 114 milioni in contanti (i titoli e gli assegni inesigibili per quasi mezzo miliardo vennero lasciati perdere) fu spartito in parti uguali: vennero sottratti i soldi per l’acquisto dell’appartamento e il box e quelli per le spese logistiche, comprese le spese per le tute e l’affitto delle armi da tale Ermenegildo Rossi.
Rimanevano 106 milioni e mezzo circa, oltre quindici milioni a testa. Ci fu chi non resistette a rifarsi il guardaroba e a darsi alla bella vita, come De Maria e Gesmundo, che furono visti a Cortina. Cesaroni fuggì in Venezuela. Gli altri fecero del loro meglio per nascondere il bottino (Gesmundo nascose parte dei soldi sotto lo zerbino del condominio di via Washington dove i genitori facevano i portinai), ma non pensavano che la pacchia sarebbe durata un solo mese. Il particolare fatale per la banda, oltre alle varie testimonianze e alle soffiate ricevute dalla polizia, fu l’etichetta delle tute da operaio abbandonante sul greto dell’Olona, in quei giorni fatalmente in secca. Gli investigatori risalirono a una ditta di Modena e da questa a chi aveva venduto le tute ai rapinatori. La vicenda giudiziaria si concluse nel 1960 con condanne pesanti, da dieci a 18 anni, anche perché la banda doveva rispondere di colpi precedenti. Con la rapina di via Osoppo il crimine della vecchia ligéra milanese entrò nella modernità. Il colpo fu definito dal Corriere «la più sensazionale rapina che mai la cronaca milanese abbia registrato», e La Nottecommentò: «La nostra città si è messa alla pari con Chicago».
Dino Messina (Corriere)
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