Milano 30 Ottobre – Entrare alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone è come varcare la porta di un mondo a parte. Un luogo dove la vita umana è declinata secondo una ventaglio di possibilità, in quella zona grigia della “doppia diagnosi”, al confine tra la disabilita e la psichiatria, senza che nessuno venga abbandonato a se stesso, considerato un numero, un letto occupato con una retta che deve essere versata ogni mese.
Qui c’è Luigi, 50 anni, che vive da sempre dentro l’istituto fondato nel 1896 dal parroco don Domenico Pogliani. «Buongiorno e lei come si chiama?», accenna un baciamano a chi lo incontra, il Luigi, sempre galante, senza sentirsi diverso anche se gli hanno trovato un disturbo psichiatrico che un tempo sarebbe stato curato in un manicomio. Ma alla Sacra Famiglia c’è anche la signora Lucia, che vive al reparto San Pietro, dove sono ricoverati gli Alzheimer gravi e gravissimi, che soffrono di wondering, immaginando una realtà che non sempre esiste. Lucia percorre il sentiero protetto, circolare, dove «camminando lei fa un suo viaggio mentale, che la rassicura, la tranquillizza, le consente di vivere ogni giorno», come spiega la responsabile dell’unità, Silvia Buttaboni.
Ma le scoperte non finiscono mai, in questo villaggio alle porte di Milano dove sono ricoverati 400 disabili complessi e 400 anziani non autosufficienti, con duemila operatori stipendiati e mille volontari. Don Marco Bove, il presidente di questa fondazione legata alla chiesa ambrosiana, accompagna i visitatori fin nei luoghi più difficili dell’ex Ipab, accreditata presso Regione Lombardia, che accoglie pazienti attraverso le liste d’attesa pubbliche. Per esempio il Santa Teresina, guidato dal dottore Giuseppe De Leo, dove sono ricoverate decine di disabili gravissimi e alcune persone in coma profondo. Li curano e li accudiscono con naturalezza materna medici, infermieri, operatori sociosanitari, volontari e parenti per i quali le porte sono sempre aperte, senza orari. «Perché qui la mutazione straordinaria che stiamo cercando di mettere in atto — spiega il direttore generale Paolo Pigni — è quella di garantire un’alta qualità della vita per tutti i degenti, ognuno secondo le sue possibilità, accogliendo anche i familiari col loro vissuto, il loro dolore, perché qui di sofferenza ce n’è tanta, ma c’è anche uno spirito laico che anima una comunità di persone, di lavoratori e di tecnici che cercano di mettere in piedi servizi per rispondere alle nuove fragilità che richiedono anche fantasia, innovazione e coraggiose sperimentazioni».
E in effetti, girando per i venti ettari di questo istituto non si può fare a meno di imbattersi nelle decine di ospiti che prima della legge Basaglia sarebbero stati “contenuti” e trattati con l’elettroshock, mentre oggi sono liberi di girare, di costruire relazioni fra di loro, di vivere la loro patologia in un posto dove li si tratta come persone con tante potenzialità ancora da esprimere, da ritrovare. Basta vedere il grande spazio dato agli otto laboratori di ceramica, falegnameria, bigiotteria, giardinaggio, dove a turno, chi è in grado partecipa ad attività artigianali, guidati dall’istruttore Stefano Albini, che crede nelle potenzialità del lavoro manuale per recuperare alla vita e alla serenità chi una volta sarebbe stato tenuto ai margini della vita sociale. Alla Sacra Famiglia c’è anche uno Sprar per 25 profughi e richiedenti asilo, anche se la forma è quella un po’ incontenibile di una costellazione con 18 sedi in tutta la Lombardia, con servizi diurni rivolti a disabili e anziani del quartiere, sportelli per patologie speciali, come quello per i bambini autistici del professor Moderato, progetti innovativi come quello che si chiama “Normali meraviglie”, pensato da un’archistar come Alessandro Guerriero, che restituisce l’autonomia a persone con disabilità e disturbi dello spettro autistico attraverso il lavoro pratico che diventa terapia. Difficile sintetizzare tutto quello che succede, in questo mondo a parte bisogna provare ad entrare.
Zita Dazzi (Repubblica)
A destra il laboratorio Arteticamente per i disabili, sotto alcuni anziani ospiti in una zona della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, fondata nel 1896 e gestita da una fondazione collegata alla curia milanese.
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