Milano 12 Novembre – Alessandro (nome di fantasia) vive a Milano in un appartamento di 1oo metri quadri con garage e cantina. Sono in quattro a vivere nell’appartamento di proprietà: lui, la moglie e i due figli. Secondo il Comune di Milano, quest’anno avrebbe dovuto pagare 673 euro per la tassa sui rifiuti. Peccato che il calcolo sia errato. Alessandro avrebbe in realtà dovuto pagare 391 euro. In parole povere, Palazzo Marino ha chiesto al contribuente 282 euro l’anno in più. Non è chiaro sapere con precisione in quale anno l’errore di calcolo sia partito ma, secondo diverse associazioni di consumatori, si tratterebbe di almeno cinque anni, quando la tassa sui rifiuti si chiamava ancora Tares.
Secondo quanto ha spiegato alla Verità il vicepresidente di Federconsumatori, Alessandro Petruzzi, «con questo errore l’esborso chiesto ai cittadini è almeno del 25% in più, dice. Ma non è facile calcolarlo con precisione. Potrebbe arrivare anche a una maggiorazione del 50%, spiega.
Il vaso di pandora che coinvolge decine di migliaia di famiglie italiane è stato scoperchiato dall’ammissione del Aver appaltato la riscossione a soggetti privati complica tutto sottosegretario all’Economia, Pier Carlo Baratta, nel corso di un question time a Montecitorio. Il problema è che nel calcolare il dovuto per la Tari, oltre alla quota fissa (legata ai metri quadri dell’abitazione), interviene una quota variabile (legata al numero degli abitanti della casa). Ed ecco l’errore: la quota variabile andrebbe calcolata una sola volta sull’insieme di casa e pertinenze immobiliari (garage, solai, posti auto) tenuto conto del numero dei familiari. Fino ad oggi, invece, molti Comuni hanno moltiplicato la quota variabile per il numero delle singole pertinenze facendo lievitare labolletta. Il motivo è semplice: il numero delle pertinenze di un appartamento non comporta un aumento della produzione di rifiuti.
Ad accendere la scintilla ci ha pensato un’interrogazione parlamentare rivolta dal deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, (M5s), al sottosegretario all’Economia Baretta per chiedere delucidazioni su una serie di segnalazioni giunte da varie città della penisola. La richiesta cita come fonte un articolo del Sole 24 ore addirittura del 2014 che già allora denunciava un’inesattezza nel calcolo della Tari. Dopo alcuni controlli Barretta si è trovato costretto a fare ammenda alla Camera.
L’errore ha coinvolto moltissimi Comuni, dal Nord al Sud. I principali centri che applicano il calcolo errato al momento, secondo l’associazione di consumatori Movimento difesa del cittadino, sarebbero Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari. Inoltre, va detto che, come spiega uno studio di Federconsumatori, la tassa sui rifiuti (nelle sue varie denominazioni) è dal 2005 tra quelle che hanno registrato il maggior aumento. Secondo l’associazione, tra il 2oo5 e il 2015 questa imposta è cresciuta del 57,2%, un salasso che si aggiunge all’errore di calcolo ammesso da Baretta. Ma cosa fare per avere i soldi indietro? Il problema è che non può esistere una soluzione adatta a tutti gli italiani. Per la tassa sui rifiuti, infatti, ogni Comune ha una sua autonomia, tanto che il metodo di calcolo e quello di riscossione possono cambiare di molto. Il primo passo da compiere è quello di attendere la circolare del ministero dell’Economia in cui lo stesso sottosegretario Baretta spiegherà come muoversi, magari di concerto con le associazioni di consumatori.
Nell’attesa, però, il consiglio è di mettersi subito in contatto con una di queste associazioni. «Abbiamo lanciato attraverso i nostri sportelli territoriali», spiega il presidente nazionale del Movimento difesa del cittadino, Francesco Luango, «una campagna per i contribuenti finalizzata a chiedere il rimborso di quanto pagato illecitamente negli ultimi cinque anni per la moltiplicazione illecita della quota variabile. Le indicazioni del Mef aprono la strada anche a possibili richieste collettive, con ricorsi al giudice tributario per la disapplicazione delle delibere illegittime se la risposta del Cornune è negativa.
Attenzione, però, molti Comuni affidano la riscossione di questi tributi a società terze. In questo caso, spiega Petruzzi di Federconsumatori, «bisogna prima rivalersi su queste società che a loro volta chiederanno il rimborso ai Comuni».
Ad ogni modo, dopo aver accertato che si è pagato oltre il dovuto, il primo passo è chiedere al Comune una rideterminazione delle tariffe in modo da capire quanto si è pagato di più. Ci sono comunque cinque anni di tempo dal versamento per chiedere il rimborso, che il Comune dovrebbe effettuare entro sei mesi dalla presentazione dell’istanza. In caso di risposta negativa o rifiuto, allora ci sarebbero tutti gli estremi per procedere legalmente, anche se, vista la situazione, c’è da credere che il Comune farà di tutto per risolverla pacificamente.
«Abbiamo intenzione di fare un esposto all’Anci, l’associazione dei Comuni italiani», dice Petruzzi di Federconsumatori, «chiedendo che i tributi in eccesso non vengano messi a fatturato e quindi a bilancio. Così facendo sarebbe più facile chiedere il rimborso».
Intanto, però, tra un disputa e l’altra, i contribuenti dovranno attendere a lungo prima di rivedere i loro soldi. Nell’attesa? Potranno solo continuare a pagare.
Gianluca Baldini (La Verità)
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