Silvio è tornato, ed è subito 1994

Attualità

Sfidare la Leopolda è stata una scommessa forte. Onore all’onorevole Gelmini per averci provato. La maggior parte degli uomini politici non ci avrebbe nemmeno pensato. Ma, come diceva Margarete Thatcher: “Se vuoi che qualcosa venga detta, chiedila ad uomo. Se vuoi che venga fatta, chiedila ad una donna”. I tre giorni all’Hotel Gallia hanno segnato una rottura netta rispetto al Renzismo. Niente fronzoli, niente scenografie Hollywoodiane, niente cartapesta. Ma tutte, diconsi tutte, le categorie produttive di questo paese. Ed un pezzo di nomenclatura del partito. Anche qui, evitando passerelle e concentrandosi sulla sostanza. Mentre a Firenze Renzi deve accontentarsi dei resti di un sogno, Forza Italia a Milano rinasce dalle radici. Imprenditori e politica del territorio. Buona gestione privata e buon governo. Ed in questo castone, Domenica, si inserisce la gemma. Lui. È tornato. E stavolta non farà prigionieri.

Partiamo dal silenzio tra le parole. Su Renzi nulla. Non una coltellata. Non un attacco. Qualcosa di circostanza, ma la condanna è chiara. Il nulla. Renzi non è un nemico, non è un vecchio amico, non è nemmeno un traditore, da ricordare, ma mai per nome. No. Come dice un detto Siciliano è il Nulla mischiato col Niente. Maiuscole volute. Nemmeno Angelino riceve alcuna attenzione. Nessuno degli ex delfini ha l’onore della menzione. Manca anche il rancore. C’è solo un riferimento ai colpi di Stato. Ma sono periferici. Non intaccano la narrazione. La contestualizzano. Per fare un paragone, tutti assieme i soggetti di cui sopra, ricevono meno attenzioni dell’amico di sempre. Dell’Utri. Qui ci dobbiamo fermare. Perché citarlo? Perché sfidare l’antimafia del rancore, che di nuovo l’ha messo nel mirino? Non sarebbe più prudente tacere? No. Lui si rattrista, quando la domanda gli viene fatta. E poi. E poi spara. Dell’Utri è un prigioniero politico. Ed è subito 1994.

Non è bastata la decadenza politica. Non sono bastati i lunghi ed amari anni. Non i traditori. Non l’infamia del Nazareno tradito da Renzi. Non la revoca del Cavalierato. Nulla di tutto questo è bastato. Il Cavaliere è tornato. Ed ha attaccato i nemici, direttamente o indirettamente. Non ha citato i giudici comunisti. Ne ha indicato la vittima. Non ha attaccato Monti, ne ha indicato i disastri, spiegando come lui, da individuo, abbia aiutato i giovani traditi dalle banche, che avrebbero dovuto essere al loro fianco nel rendere veri i propri sogni. Ha raccontato delle imprese che ha contribuito a far nascere. Ha attaccato il politicamente corretto, fatto battute che ucciderebbero qualunque altro politico. Perché la sua forza è, essenzialmente, essere ancora là. Se non lo puoi uccidere, vuol dire che non puoi vincere. Silvio è tornato. Ed è subito 1994.

L’unico nemico sono i Cinque Stelle, che ne incarnano la nemesi. Una nemesi non politica, ma antropologica. Lui costruisce, loro distruggono. Lui seleziona la classe dirigente su base meritocratica, loro con qualche click. Lui è positivo, loro apocalittici. Lui ha fatto, Giggino ha solo e sempre parlato. E qui vi vorrei far cogliere una sottigliezza. Di Maio, per dire che Renzi è finito, è scappato da un confronto televisivo richiesto da lui. A Silvio è bastato non nominarlo mai. Questa è la differenza che passa tra il prodotto sintetico di un’agenzia di comunicazione ed il più grande politico Italiano in vita. Il primo, per farsi notare, deve fuggire. Al secondo, per modificare la realtà, basta decidere se parlare o tacere. L’unico riferimento all’ex premier ha a che fare con la Leopolda. Col quale, ancora una volta, Silvio ridefinisce i perimetri del reale. La Leopolda, dice, parla ai giovani. Lui all’Italia. Utilizzando Prodi (“La Leopolda? Non ne sapevo nulla, è roba da giovani”) contro Renzi. E piantando un cuneo tra l’avversario e gli elettori. È tornato, non c’è nulla da fare.

Noterete l’assenza di contenuti politici. Non è un caso. Non è un’elezione politica. Parlare di programmi non è il suo ruolo. Lui parla della differenza tra noi e loro. E la differenza, piaccia o meno a Salvini e agli altri comprimari, è Lui. E Lui è tornato. Ed è subito 1994.

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