Milano 14 Dicembre – Era il pianoforte del jazz nel mitico locale Il Capolinea tempio indiscusso di quella musica sincopata che arrivava dall’America. E aveva il fascino dell’improvvisazione, della versatilità, dell’anima. Una musica di emozioni che si rincorrono, in cui riconoscersi, con cui fare amicizia. Era un orizzonte nuovo legato alla beat generation, a Kerouak, Ginsberg, a quel sogno di libertà che abbracciava musica e letteratura, scandendo i tempi, quasi fossero il battito del cuore. A Brera negli abbaini dei pittori più squattrinati e visionari si ascoltavano Armstrong, Gillespie, Duke Ellington con l’attenzione e il trasporto che si ha per i mostri sacri. Al Capolinea diventava reale un sogno con Sellani, Gaslini e tanti ospiti stranieri. Si arrivava con il 19, una lunga corsa, nella nebbia, perché là sulle rive del Naviglio Grande, la nebbia era di casa, nelle notti milanesi degli anni 70. E il locale stava proprio vicino al capolinea del tram «Ma il nome non nasceva da questo. Mio padre lo aprì per pura passione. Diceva sempre che ogni musicista dopo aver fatto le sue “marchette” in giro doveva per forza ripulirsi con il jazz. Non ha mai voluto metterci nemmeno l’insegna, voleva che la gente lo andasse a cercare. Si parlava in milanese anche con le star internazionali», ricorda Laura Vanni, figlia di Giorgio, scomparso nel 1995, al Corriere che osserva: parla del suo piano come fosse un essere umano segnato dagli acciacchi dell’età. Dopo la chiusura, il piano fu parcheggiato in una casa di famiglia a Gudo Visconti, nella campagna di Milano. «Stava bene, in una tavernetta riscaldata. Poi però la primavera scorsa fu spostato in una cascina di un altro parente in provincia di Vercelli. Ero preoccupata che non riuscisse a passare l’inverno, dato che stava in un ex fienile in cattive condizioni climatiche. Per un attimo pensai anche di venderlo. Misi l’annuncio in Rete e dopo nemmeno un giorno mi arrivò un’offerta da un musicista siciliano. Ma prima che lui arrivasse a Milano per ritirarlo cambiai idea. In passato era uno strumento che suonava almeno sei sere su sette: soffrivo all’idea di tenerlo chiuso in silenzio. Ho anche cercato di farlo adottare da qualche scuola di musica. Poi Maso Notarianni mi ha conquistato col suo progetto”
Ma la leggenda non poteva finire. Dopo la chiusura del locale nel 1999 per un incendio, miracolosamente si salvò e ieri è tornato a suonare nella Palestra Visconti dell’Arci Bellezza con Mario Rusca, 80 anni vissuti da simbolo del jazz.«Lo abbiamo ripulito e riaccordato. Abbiamo restaurato il suono, non la sua estetica. Sono rimaste le bruciature su un fianco. Pure la stoffa del seggiolino è ancora malconcia. Le cicatrici del suo passato non si dovevano cancellare», racconta al Corriere Maso Notarianni, oggi presidente dell’Arci Bellezza e pilota del salvataggio del mitico piano insieme ad Alberto Minetti dell’associazione Jazz@Milano. E il pianoforte continuerà a raccontare la sua musica e i suoi ricordi.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano