Aler, migranti e campi rom, degrado e insicurezza nelle periferie milanesi. Cardona «Serve una riqualificazione»

Milano

Milano 31 Dicembre – «Ci preoccupa la percezione di sicurezza non positiva», afferma il questore Marcello Cardona, poco prima di chiudere la sua analisi sulla criminalità a Milano. Questione che riguarda soprattutto le periferie: «E nelle periferie bisogna lavorare moltissimo, lo stiamo facendo — continua il questore — ma questo coinvolge un lavoro di riqualificazione più ampio, perché la percezione di insicurezza può essere legata anche al degrado». Il capo della polizia a Milano tocca così un tema chiave della vita nelle metropoli contemporanee, nelle quali i reati si riducono, ma molti cittadini si sentono (comunque) in pericolo. Affrontare il tema implica anche tracciare un confine. Come dire: i responsabili della sicurezza in senso tecnico, le forze dell’ordine, arrivano fino a un certo punto; chi deve occuparsi del resto? Il questore fa qualche esempio. «Una strada poco o male illuminata può generare insicurezza». Lo stesso vale per un quartiere di palazzi popolari diroccati. E poi: «Anche un sistema di accoglienza importante — argomenta Cardona — vuol dire sicurezza, per evitare che le persone, molto spesso soltanto emarginate, dormano in strada o in stabili abbandonati».

 

Tema aperto, ma per provare a definire quel confine bisogna iniziare a descrivere l’impatto delle forze dell’ordine sul territorio. Nel 2017, su tutta la provincia, la polizia ha controllato circa 286 mila persone; i carabinieri 183 mila, con l’ispezione di 87 mila auto e camion. Sommando i numeri, significa che quasi mezzo milione di persone, in un solo anno, sono state fermate da poliziotti e carabinieri, un lavoro che resta nelle banche dati criminali con documenti, precedenti penali, frequentazioni, indicazioni di zone. In questa «rete» finiscono a volte cittadini comuni, più spesso piccoli criminali (grazie all’intuito delle pattuglie), ogni tanto latitanti o ricercati, di frequente stranieri irregolari mai censiti prima (che dunque, da «fantasmi», diventano «persone note»), in qualche caso terroristi (come accadde per lo stragista di Berlino Anis Amri o per un tunisino fermato nei mesi scorsi dall Polmetro in Duomo che, s’è scoperto dopo, era inserito in una black list di radicalizzati diffusa da Tunisi). Ieri sia il questore Cardona, sia il comandante provinciale dell’Arma Luca De Marchis hanno definito la centralità di questa «pressione»: il controllo del territorio ha obiettivi connessi e non scindibili, e cioè repressione della criminalità e prevenzione anti terrorismo. Lo dimostrano anche le oltre 100 segnalazioni di potenziali elementi radicalizzati arrivate «dal territorio» ai carabinieri nel 2017, che sono state «lavorate» e hanno portato a 6 espulsioni per «alto profilo di pericolosità».

E poi c’è il progetto più ampio elaborato dalla questura sulle zone critiche, che vanno dalle periferie (Rogoredo, San Siro, via Bolla), ai quartieri del centro (Colonne, Darsena, Parco Sempione — tutti i dati di questa attività sono riportati nel grafico di questa pagina). Si può prendere ad esempio la Centrale, zona in cui il commissariato Garibaldi-Venezia e la questura hanno organizzato servizi straordinari di controllo a cadenza settimanale (40 nel 2017), che hanno portato all’identificazione di oltre mille persone, 33 arresti, 371 denunce.

Un lavoro analogo si fa regolarmente con il commissariato Mecenate e con i carabinieri (che solo nell’ultima settimana sono intervenuti per tre giorni di seguito) nella piazza di spaccio di Rogoredo. L’Arma s’è concentrata a lungo sul controllo dei campi nomadi (in Bonfadini, ad esempio, in marzo sono state recuperate 8 pistole rubate).

Obiettivo generale: portare una pressione costante e massiccia, dunque davvero efficace, sulle zone in cui la micro criminalità è più presente. Sulla stessa linea, la chiusura temporanea da parte della questura di oltre 100 bar e locali frequentati abitualmente da pregiudicati. Infine bisogna considerare i quasi 9 mila arrestati e i 31 mila denunciati da polizia e carabinieri negli ultimi 12 mesi. Tutti questo è sicurezza in senso «tecnico», forse non (ancora) sufficiente a migliorare la percezione. E qui si torna ancora sul «confine»: al di là, come lavoro da fare nelle periferie, ci sono le case popolari da ristrutturare, quelle da assegnare per evitare le occupazioni, il degrado da sistemare.

Gianni Santucci (Corriere)

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