Milano 16 Gennaio – Donald Trump e le sue politiche economiche hanno ridotto la disoccupazione americana. Meglio: l’hanno quasi azzerata. L’ “ammissione” sulla bontà del trend è arrivata persino dal New York Times, che ha mostrato come anche gli “esclusi”, cioè quelli che avevano smesso di cercare un’occupazione, siano rientrati nel mercato del lavoro statunitense. I disabili, i “disoccupati cronici”, le persone con condanne penali: tutti stanno contribuendo, grazie alle aperture delle aziende, al calo vertiginoso della percentuale degli inoccupati. La disoccupazione americana, oggi, è al 4,1%: record storico in positivo, ma alcune cronache giornalistiche nostrane continuano a preferire la narrazione di un presidente “rozzo”, “volgare”, “razzista” e “inadatto”. I numeri, tuttavia, hanno mantenuto nel tempo la caratteristica di avere la testa dura.
La Federal Reserve, nelle sue previsioni, si era augurata che si arrivasse ad un tasso ben più alto per mantenere l’equilibrio tra offerta e domanda di lavoro. Il problema, adesso, è paradossalmente inverso: un numero troppo alto di occupati può portare ad abbassare i ritmi produttivi quindi, indirettamente, all’aumento dell’inflazione. Trump resta convinto che la riforma fiscale, la creazione di surplus aziendali e il conseguente aumento dei consumi da parte dei lavoratori rappresentino gli elementi chiave della ricetta perfetta per “far tornare grande l’America”. Almeno per quanto riguarda le politiche interne. Solamente a luglio del 2017, l’economia americana e il suo andamento positivo hanno prodotto più di duecentomila posti di lavoro. Un milione, invece, è il numero complessivo dei nuovi occupati da quando The Donald si è trasferito nella Casa Bianca. L’unica nota “problematica”, al limite, è rappresentata dalla mancata crescita del tasso salariale. I nuovi salariati americani, però, rappresenterebbero una grande notizia di politica estera già di per sè. La prima che andrebbe data, probabilmente, quando si parla di States, ma i liberal continuano a preferire le rivelazioni delle attrici porno, quelle di Bannon e i tanto improbabili, quanto televisivi, avversari di Trump per le prossime presidenziali. Mentre i dem cavalcano la mitologia mediatica di Oprah Winfrey, insomma, il “rozzo” Trump ha contribuito a innestare un trend che sembrava una chimera ai tempi della campagna elettorale contro la Clinton.
“Il Times – scrive l’Huffington Post – porta l’esempio della contea di Dane, in Wisconsin, dove il tasso di disoccupazione a novembre era del 2%: l’offerta di lavoro era talmente alta e la domanda talmente bassa che le imprese manifatturiere hanno messo a lavorare nelle loro fabbriche detenuti che stanno ancora scontando la pena in carcere”. E la “nota dolente” dei salari, va sottolineato, potrebbe presto rientrare nell’insieme dei “Ci sono segnali – scrive sempre l’Huffington riportando il Times – che indicano come la situazione potrebbe cambiare, soprattutto per i lavoratori meno pagati che finora sono stati esclusi dalle prime fasi della ripresa economica. Giovedì scorso Walmart ha fatto sapere che, da febbraio, aumenterà i salari per i suoi lavoratori di base; in autunno una mossa simile era stata annunciata dal suo rivale Target”. Una delle ragioni principali per cui, sotto le amministrazioni Obama, si parlava positivamente dei dati occupazionali americani è relativo al fatto che coloro che erano finiti fuori dal mercato del lavoro, cioè le persone che avevano sostanzialmente smesso di cercarne uno, venivano escluse dalle statistiche ufficiali. Quelle stesse persone che adesso stanno rientrando nei dati occupazionali. E nel caso esistessero ancora dubbi sul dramma occupazionale venutosi a creare sotto le amministrazioni democratiche, basterebbe rileggersi i risultati delle passate presidenziali per comprendere quanto si diceva prima, sul fatto dei numeri e della testa dura.
Francesco Boezi (Il Giornale)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845