In lista nomi improbabili o imposti dall’alto: l’ira dei militanti. La deputata Di Benedetto lascia Dal Veneto: trovate nefandezze sugli avversari Deputati e senatori uscenti vogliono sapere quanti voti ha preso chi è in lista prima di loro
Milano 4 Febbraio – È sulla “casa”, che Luigi Di Maio ha vacillato. È sulla storia dell’ex consigliere M5S di Frascati Lele Dessi scoperta da Piazzapulita (vive in un appartamento del comune a 7 euro al mese) che il candidato premier del Movimento 5 stelle ha deciso di fare la faccia dura, rischiando di far saltare gli argini. E mostrando tutta la fragilità degli equilibri interni che il Movimento ha cercato di trovare per una campagna elettorale improvvisamente orfana di Beppe Grillo, nascondendo una riserva di rancori e guerre di potere.
Il capo politico M5S non ha fatto una piega davanti agli “infiltrati” degli altri partiti nei collegi uninominali, alla candidata plurilaureata che plurilaureata non è, all’ex renziano che corre a Firenze contro Renzi. Ha preso con filosofia – dopo la rabbia iniziale – perforo la figuraccia fatta presentando in pompa magna un ammiraglio che ha dovuto rimuovere tre ore dopo perché consigliere del Pd. Sul caso Dessi, però, è stato inflessibile. Suscitando l’ira degli attivisti storici, e anche di molti parlamentari, che si chiedono perché i candidati scelti da lui per gli uninominali possano fare tutto, mentre per i militanti non si trovano attenuanti.
Dagli esterni nei collegi continuano ad arrivare sorprese, nonostante Pinner circle di Di Maio minimizzi parlando di «6-7 casi su 341». Del candidato torinese Paolo Turati, economista, si è scoperto che non solo inneggiava a Forza Italia fino a poco tempo fa, ma che scriveva anche post xenofobi contro «il solito violentatore marocchino», lo ius soli, gli stranieri in nazionale e perfmo Papa Bergoglio (mentre l’attivista Mario Corfiati era stato rimosso per voci a suo dire non provate di un’attività parallela come gigolò). Ci sono guai sulle Dolomiti, dove un fedelissimo del deputato Riccardo Fraccaro (tra i più vicini a Di Maio) si è autosospeso insieme a due colleghi dalla carica di consigliere a Rovereto per protesta contro gli esterni in lista. E si potrebbe continuare con “documenti interni” al Movimento in Calabria, in cui si parla di candidati assistenti di parlamentari o ex assessori pd, quindi fuori dalle regole. O con Micaela D’Aquino, che è nel collegio Rovigo-Chioggia, ma è stata vista poco tempo fa a una cena di finanziamento di Forza Italia con accanto Renato Brunetta. Tutte notizie frutto di accurati dossieraggi interni.
Non sorprende, quindi, che proprio in Veneto il responsabile della comunicazione Ferdinando Garavello inviti i 56 candidati in regione a cercare «foto imbarazzanti, nefandezze, dichiarazioni e tutto quello che può servire per fare una campagna negativa contro i candidati degli altri partiti». È normale, dice il coordinatore M5S in regione Jacopo Berti, «è per scovare gli impresentabili, è trasparenza, non linciaggio degli avversari».
C’è poi la deputata uscente Chiara Di Benedetto, quarta in lista nel suo collegio siciliano: non ha speranza di essere rieletta, e se ne va. È la compagna di Mauro Giulivi, l’attivista che aveva fatto causa perché escluso dalle regionali in Sicilia. Era stata minacciata di morte, allora, da presunti sostenitori M5S. Va via adesso, parlando di «volgare negazione delle origini».
In questo clima, a premere per la pubblicazione dei risultati delle parlamentarie sulla piattaforma Rousseau sono soprattutto gli interni. I deputati e i senatori uscenti che vogliono controllare quanti voti ha preso chi è stato magari messo nelle liste prima di loro, odi fianco a loro. Ci sono sospetti su molte persone. E c’è il caso di Stefano Buffagni, ex consigliere regionale lombardo, l’uomo del nord di Di Maio, che si è visto sopravanzare dalla deputata Paola Carinelli (nonostante non abiti nel suo collegio) per un complicato meccanismo di suddivisione dei più votati nelle città metropolitane (meccanismo che ha messo al sicuro più di un parlamentare uscente). Per tutte queste ragioni, Davide Casaleggio — che ha parlato di una questione di privacy — teme cause legali e nuovi inciampi in una campagna che non è certo partita benissimo: tra il garante della Privacy che ha minacciato di sanzionare il blog per una cattiva conservazione dei dati, Beppe Grillo che si è portato via nome e volto lasciando al Movimento e alla Casaleggio solo “il blog delle stelle”, gli hacker che hanno mandato in tilt la piattaforma Rousseau a voto in corso, le parole sulle intese post voto dette per rassicurare gli investitori della city, e “tradotte” come un’apertura alle larghe intese. Poi è arrivata la “casa”, il simbolo dell’eterno privilegio. E far finta di niente, è diventato più difficile.
Annalisa Cuzzocrea (Repubblica)
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