Milano 6 Febbraio – Assolti perché hanno sì occupato un terreno per viverci in baracche, ma lo hanno fatto per stato di necessità assoluta. Si conclude così la vicenda giudiziaria che riguarda sette rom di cittadinanza romena finiti a processo per l’occupazione di un terreno a Milano in via Cima (zona Rubattino), in cui gli imputati vivevano all’interno di piccole baracche. L’area venne sgomberata il 15 marzo 2015 e agli occupanti fu contestato il reato di invasione di terreni ed edifici.
La sentenza risale al 5 dicembre 2017 ma soltanto ora sono state diffuse le motivazioni. Secondo il giudice Maria Teresa Guadagnino, è stata la situazione di gravissima emergenza, sociale ed abitativa, a giustificare «la compromissione del diritto pubblico su un’area che, di fatto, era da molti anni abbandonata». E, per il magistrato, «la valutazione comparativa tra il diritto del Comune a utilizzare l’area e i diritti primari degli imputati è certamente a favore di questi ultimi».
Tecnicamente il giudice ha riconosciuto lo stato di necessità per “danno grave alla persona”, fatto rientrare nell’alveo dell’articolo 2 della Costituzione e quindi dei diritti fondamentali della persona, «fra i quali deve essere ricompreso il diritto all’abitazione». Tra gli abitanti della baroccopoli un disabile al 100% (che era tra i sette imputati) e diversi bambini. L’insediamento venne seguito dai volontari della Comunità di Sant’Egidio dal 2011 allo sgombero; tutti i minori erano regolarmente iscritti a scuola, dal nido alle superiori, e la Comunità si faceva carico del doposcuola (presso la biblioteca di zona) e delle docce (nella vicina parrocchia), senza far mancare percorsi di inserimento lavorativo per gli adulti.
«Si tratta di famiglie che vivevano in baracca non per scelta ma per povertà e assenza di alternative. La povertà non si sconfigge con le ruspe o con denunce che intasano i tribunali ma con seri progetti di accompagnamento sociale», dichiara la Comunità di Sant’Egidio: «Oggi tutte le otto famiglie vivono in casa, continuano la scolarizzazione dei figli e in ciascuna almeno un componente lavora».
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