Milano 7 Giugno – Qualche settimana fa il premier Matteo Renzi reclamava di aver ridotto la disoccupazione. Una rivendicazione, come al solito, puramente elettorale che risultava già poco convincente, che non ha infatti convinto alle ultime amministrative.
Ora l’ultimo rapporto Istat, uscito appena tre giorni fa, ha messo ancor di più il dito nella piaga. L’Istituto di statistica per la precisione ci dice che nel primo trimestre 2015 l’occupazione è cresciuta, su base annua, di 133mila unità (+0,6%). Sembrerebbe positivo ma i dato vanno letti e approfonditi con attenzione: se lo si fa si scopre che l’aumento dei lavoratori riguarda solo gli ultra cinquantenni (+5,3%) mentre le fasce d’età comprese fa i 15 e i 34 anni e fra i 35 e i 49 anni calano rispettivamente dell’1,7% e dell’1,4%. Come è possibile? Forse che le imprese stanno cercando, disperatamente, cinquantenni da assumere? Sarebbe stupefacente ma non è così, la verità è un’altra: causa aumento dell’età pensionabile chi ha un lavoro lo tiene per più tempo, mentre chi non ce l’ha continua a non trovarlo.
“A conti fatti la disoccupazione non si è ridotta di una virgola, anzi è aumentata” hanno giustamente commentato Oscar Giannino e Carlo Alberto Carnevale Maffé a I Conti della Belva su Radio 24, analizzando i dati. Non solo: un altro dato non certo positivo riguarda la distribuzione geografica del lavoro che cresce più al Sud che al Nord, al contrario del Pil che aumenta più dalle nostre parti. Nel dettaglio se l’occupazione nell’industria diminuisce dello 0,9% e nell’edilizia dell’1,2% su scala nazionale, nel Mezzogiorno si registra invece un aumento rispettivamente del 2,3% (+18mila) e del 3,8% (+15mila). Nel complesso gli occupati al Sud crescono dello 0,8% contro lo 0,6% del Nord mentre quelli nella fascia compresa fra i 15 e i 24 anni aumentano addirittura dello 0,7% contro il -1,3% del Nord. Ora qualcuno penserà che stiamo gufando e vorremmo che i dati fossero opposti per una ragione di convenienza territoriale.
Non è questo il punto. Il problema è che se l’occupazione aumenta e il Pil diminuisce, ciò vuol dire che si stanno creando posti a bassa produttività. Lavori in imprese (o nello Stato per cui si parla da tempo di una nuova “infornata”) che più che un beneficio per l’economia diventano alla lunga solo un costo. Posti che col tempo andranno persi, con un costo non indifferente per la collettività fra cassa integrazione e altri strumenti di welfare.
Checché ne dica il governo la ripresa, quella vera, ancora non si scruta all’orizzonte. Ci vorrà tempo e sacrificio da parte di imprese e lavoratori, che prima o poi riusciranno a riscattarsi. Nonostante il governo.
Matteo Borghi (L’Intraprendente)
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