Milano 17 Febbraio – Con una recente pronuncia (n. 3049 depositata 8 febbraio 2018), la Corte di Cassazione ha confermato il suo orientamento secondo il quale l’imprenditore che non ha versato i tributi deve essere punito e versare le somme a titolo di sanzioni – ulteriori rispetto al tributo stesso – anche se versava in condizioni di crisi economica, dovuta all’inadempimento dei suoi clienti.
Insomma, detto in parole povere: se i clienti non ti pagano (magari perché anche loro sono in crisi economica) e tu non versi i tributi perché non hai i soldi per farlo, lo Stato ti aggiunge l’ulteriore mazzata della sanzione economica – spesso di importo analogo ai tributi in questione – di fatto raddoppiando quindi il debito complessivo.
La ragione di tanta durezza, per la Corte, sta nel fatto che le crisi di liquidità sono fenomeni normali e prevedibili della gestione aziendale e quindi non possono integrare la scusante della forza maggiore; al contrario, l’imprenditore deve cautelarsi approntando adeguate misure di accantonamento di denaro (chissà come, se i clienti non pagano…) per far fronte a queste evenienze.
Ora, è difficile fare a meno di notare la mentalità ostile all’impresa di cui appare imbevuta questa sentenza, come del resto gran parte della giurisprudenza tributaria (e non solo) degli ultimi vent’anni.
L’imprenditore, che quando guadagna (caso raro, ormai) viene tassato pesantemente, non viene mai accolto con corrispondente indulgenza quando si trova in difficoltà finanziaria.
E questo non è frutto del dato normativo e non verrà modificato da eventuali modifiche normative. Appare ormai chiaro a tutti che in Italia il vero assetto delle regole viene formato non più dal testo delle norme, ma dall’interpretazione che ne fornisce la Corte di Cassazione e – a cascata – la giurisprudenza di merito. L’Italia è ormai diventata un paese di common law ma, a differenza dei paesi in cui tali sistemi sono nati, i giudici non rispondono in alcun modo al popolo. Questo pone un problema di effettiva democraticità del nostro ordinamento, perché quando chi scolpisce le regole non ne risponde al popolo, è difficile sostenere che il popolo medesimo sia veramente sovrano.
Questa mentalità anti-impresa, dunque, non verrà scalfita da eventuali riforme normative in campo fiscale (o altro che riguardi le imprese) se tali riforme non verranno accompagnate anche da riforme che riportino la giurisdizione in un alveo maggiormente controllato dalla volontà degli elettori.
E se non verrà scalfita, questa mentalità anti-impresa continuerà a suggerire, a chi abbia denaro da investire, di non farlo in Italia. A forza di coltivare l’ossessione di fare la guerra ai paradisi fiscali, l’Italia si è trasformata in un inferno fiscale. Con il risultato che, in un sistema economico ormai connotato dalla concorrenza anche fra le nazioni e i loro sistemi economici, le imprese continueranno a fuggire dall’Italia e preferire paesi meno oppressivi verso i contribuenti imprenditori.
Francesco Bencivenga (Leoni blog)
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