Milano 30 Maggio – Raffreddare la testa durante la chemioterapia salva i capelli e aiuta una donna a combattere il male restando persona. Per ora funziona solo per la chemio usata per il tumore al seno. Non per quella usata nel cancro al polmone che ha colpito Emma Bonino, ma lei ribadisce: «Io non sono il mio tumore, ma resto una persona». Il suo messaggio in video si diffonde tra le 900 donne guarite di tumore riunite a Milano all’annuale appuntamento voluto e ideato da Umberto Veronesi nel 2007: «Ieo per le donne». Ex pazienti dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo), e di altri istituti, riunite per testimoniare di aver ritrovato la loro identità. Di essere di nuovo persone. Forse nuove persone.
L’oncologo fondatore dell’Istituto di via Ripamonti non c’era, ma il suo messaggio è un monito. Più alla scienza, che alle donne che hanno lasciato il tumore alle spalle. «I trattamenti non devono più guarire la malattia dimenticando la persona – scrive alle sue “amiche” – . Abbandoniamo il termine “paziente” che indica un essere umano senza identità, che subisce passivamente. Non possiamo più curare qualcuno senza sapere chi è, cosa pensa, qual è il suo progetto di vita». Guarire solo «l’involucro»? Non basta. Applauso liberatorio delle donne, molte accompagnate dai compagni, da amiche e figlie. Convention femminile con un mantra ricorrente: via il tumore anche dalla mente. Le testimonianze, moderate da Daria Bignardi, riguardano i cambiamenti interiori e quelli di relazione, i rapporti sociali e di coppia, la paura dell’amore.
In quest’ottica anche la scienza deve ricercare soluzioni che riguardano la persona malata in modo che malata non si senta. Che non sia terrorizzata dal male e dalla cura che ferisce la psiche. Che cosa offre la scienza? Quest’anno il caschetto che salva i capelli: la chemio senza parrucca. Spiega Paolo Veronesi, che dirige la chirurgia del seno allo Ieo: «Nel nostro istituto è stato utilizzato da 30 pazienti, con buoni risultati». Ne sono testimonianza i folti e biondi capelli di Elisabetta Cirillo, 29 anni, da Brescia, una giovanissima «guarita», presente con il fidanzato. Dodici sedute di chemio. «Quando fai queste cure non vuoi essere bella – dice -. Vuoi solo sentirti normale, non identificarti con il cancro. Svegliarti, guardarti allo specchio, riconoscerti, essere sempre te stessa». Sorride. Grazie anche al caschetto. Una delle 30. Veronesi tira le somme: «L’85% si è detto soddisfatto. Vale a dire che in 25 pazienti la caduta è stata di grado 1 o 2, cioè non percepibile dal punto di vista estetico».
Posto che la caduta zero non esiste (i capelli si perdono anche naturalmente), per grado 1 si intende una perdita del 25% della capigliatura, mentre per grado 2 si intende una caduta del 50%. Comunque non percepibile. «Stiamo valutando, primi in Italia, questo sistema – spiega ancora Veronesi jr – che consiste in un macchinario collegato a due caschetti refrigeranti ( Dignicap è il nome), uno per paziente, che si indossano prima, durante e dopo l’infusione di chemio. È un sistema di raffreddamento che protegge le cellule dei bulbi piliferi del cuoio capelluto dai danni da farmaci, riducendo la caduta dei capelli. Il freddo diminuisce la perfusione del sangue e il metabolismo, riducendo l’attività “distruttiva” dei chemioterapici». La temperatura, personalizzata da tre sensori, arriva a 3-5 gradi. I risultati nei Paesi come gli Stati Uniti (dove la macchina è in attesa dell’approvazione Fda), la Gran Bretagna e la Francia, dove Dignilife è ormai routine, sono ottimi. La «medicina delle 5P» (predittiva, preventiva, personalizzata, partecipativa e psicologica) trova così un altro tassello per diventare realtà. (Corriere Salute)
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