Se una bimba di sette anni, adottata, sa chi è Salvini e teme che la deporti se vince c’è qualcosa che non va. E non in Salvini. Ma in chi ha creato il clima di terrore in cui questa povera bambina sta crescendo. Lascio l’onore di descrivere la vicenda a Repubblica, così da non essere tacciato di partigianeria:
“Caro Salvini, sono una mamma adottiva di due splendidi bambini africani”. Inizia così la lettera aperta che Gabriella Nobile, mamma di due bambini, sta facendo il giro del web: il post è stato condiviso più di ventimila volte. “Volevo ringraziarla perché sta regalando ai miei figli dei momenti di terrore davvero fuori dal comune” scrive Nobile, 47 anni, imprenditrice a Milano, che si rivolge al leader leghista. “Mia figlia di 7 anni prima di andare a letto mi chiede : ‘Ma se vince quello che parla male di noi mi rimandano in Africa?’. E piange disperata”.
Sì, in sostanza si è creata una dinamica familiare tale per cui la piccola ha un terrore irrazionale ed assurdo di essere rimandata in Africa. Questo perché, talvolta, ci si dimentica che i propri figli ascoltano. Sentono. E metabolizzano. E non certo i tg. Ci vuole qualcuno di più vicino e di più attendibile per ottenere questo risultato. Tipo, ma sono solo congetture sia chiaro, uno dei due genitori, che poi, in una forma agghiacciante di serra emotiva, mette tutto su Facebook. Sai mai che qualcuno se lo sia perso. Ventimila condivisioni in due giorni. Complimenti, nel caso qualcuno ancora non avesse seminato abbastanza odio politico, anche il suo contributo non è andato sprecato. In maniera che anche i figli degli altri compagni si sentano minacciati. Da fantasmi che esistono nelle proprie fantasie, ovviamente, visto che i figli della signora sono Italiani, anche più di me. Checché, da radical chic, lei possa credere. E possa far credere loro. Sì, qualcuno insulta il maggiore per il colore della pelle. Gli imbecilli esistono da sempre e per sempre esisteranno. Esistevano anche trent’anni fa quando furono adottati i miei cugini. In un contesto, il Veneto degli anni 90, dove le persone di colore erano certamente meno. Succede. È brutto, ma succede. E, epr favore, smettiamola di usarlo contro il nemico politico di turno. Venti anni fa era Fini. Fini. Ve lo immaginate un baluardo del razzismo, Fini? Ecco, loro sì. Se lo immaginavano eccome.
Finita la parte tragica, sopraggiunge quella comica. È inevitabile, in questi giorni così strani, che finisca così. Facebook, prima ha cancellato il post. La signora, nella sua furia di guerriera della giustizia sociale si era dimenticata che nero va scritto rigorosamente senza g. Ci è rimasta male, la sciura. Non è un insulto, ha urlato. Solo che Facebook se ne è fregato. Così ci ha riprovato. E stavolta le hanno bloccato l’account. Sì, beh, aveva usato i puntini. Solo che i puntini non cambiavano la natura razzista degli insulti che riportava. Facebook è un luogo bellissimo. Dove i compagni possono vivere liberamente sulla loro pelle i danni che il politicamente corretto possa fare. A tutti. Anche ai guerrieri della giustizia sociale. Oserei dire soprattutto a loro.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,