MA RENZI È FINI(TO)?

Attualità

Milano 10 Marzo – Premettiamo che nella famosa conferenza stampa postelettorale, Matteo Renzi è parso per la prima volta sincero e ha confessato – a mo’ di parabola – l’inconfessabile: Sergio Mattarella lo ha buggerato allorquando non gli ha consentito di andare a votare a ridosso del referendum. Il colpo inferto è stato mortale.

Poi il Governo Gentiloni, le scissioni, gli scandali, la sua antipatia e gli avvelenatori di pozzi hanno fatto il resto relegando il Partito Democratico a percentuali innaturali. La macchina si è messa in moto per espellere il corpo estraneo e ci è riuscita rendendo le elezioni un referendum contro Renzi. E aveva ragione anche quando – sempre nella medesima conferenza stampa e a mo’ di messaggio subliminale – ha voluto mettere in guardia contro gli inciuci pretendendo di portare il Pd all’opposizione e di vigilare che ci rimanesse fino alla formazione del nuovo Governo. Aveva ragione perché “Radio Serva” parla di trattative in fase avanzata tra Democratici e pentastellati volte a permettere la nascita di un Governo a guida grillina e per giunta pare con la benedizione di Mattarella. Il capo dello Stato vorrebbe non tenere conto del 37 per cento raccolto dal centrodestra e sostenere la tesi secondo cui è opportuno che il primo partito venuto fuori dalle urne si assuma la responsabilità di guidare il Paese. Il tutto dopo aver fatto fare la prima mossa al centrodestra lasciando che il tentativo vada a vuoto frustrando ogni possibilità di rivendicazioni future.

Detto questo, non possiamo non ammettere che Matteo Renzi ha seguito la parabola di Gianfranco Fini andando incontro al destino che normalmente viene riservato a chi spera di fare fortuna sfasciando tutto. Dalle macerie non viene fuori mai nulla di buono. Renzi, a differenza di Fini, ha avuto almeno la dignità di dimettersi ma non è escluso che dietro l’angolo non ci sia anche per lui la voglia matta di strappare con il suo ex partito e fare una sorta di “Futuro e Libertà” in salsa democratica.

Adesso il senatore fiorentino alza anche lui a suo modo il ditino come per dire: “che fate, mi cacciate?” immemore, come il suo autorevole predecessore, del fatto che le strategie divisive ti permettono, giocando d’azzardo, di vincere singole battaglie ma non di conquistare autorevolezza e vincere la guerra. Anche per lui, come per Fini, i guai sono stati in parte originati da una lei da difendere e accontentare (i motivi in questo caso non sono sentimentali ma è un dettaglio) e da una furia rottamatrice a tal punto cieca da non consentirgli di capire che in politica i tempi e i modi per operare gli avvicendamenti non sono formali ma sostanziali. Se non rispetti la liturgia – e lavori di furbizia o di machete – prima o poi la paghi con gli interessi perché tu sarai anche scaltro, ma gli altri non sono dei parvenu e se li sottovaluti ti fai male.

Entrambi non hanno coltivato rapporti dentro ai rispettivi partiti ma hanno preteso di avere intorno yesmen da avvicendare nel caso costoro smettessero di applaudire e azzardassero un “sì però”; cosa molto grave per chi aspira a fare il leader avendo intorno una massa acritica di servi sciocchi incapaci di consigliare e avvezzi al tradimento. Per Renzi oggi, come per Fini allora, l’arroganza non ha pagato attirando per giunta un risentimento politico e personale che forse travalica anche gli effettivi demeriti degli individui in questione. Buon viaggio Matteo. Vito Massimano (L’Opinione)

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