Milano 23 marzo – È primavera, svegliatevi bambine, si cantava una volta. E anche oggi. Sì, perché ai molti che la bella addormentata sembrava Silvio Berlusconi, fa ora una certa sorpresa il rientro del Cavaliere nella politica del day-by-day, e che day!
In realtà, che ne fosse uscito tout court non era e non è vero, almeno nella misura con cui la Polis impone ai suoi facitori ritmo bensì diversi, cadenze non uguali, ma sempre uguale rimane l’essenza (la qualità) stessa della politica che non prevede, come qualsiasi competizione, un abbandono senza ragioni.
Berlusconi è rientrato nel gioco e non con l’arroganza (e coi voti) dei tempi che furono, ma con una metodicità sconosciuta a lui e ora riscoperta forse, anzi senza forse, perché, nonostante un suo gruppo dirigente che si vede poco o niente e che, se c’è, finge di non essere tale, gli piace la qualità più vera della politica, cioè la presenza non distratta. E i fatti, più che le parole.
Ai tanti che dicono che Forza Italia non è più quella di una volta, la risposta berlusconiana è semplice e, un tempo, utile nel senso che riafferma comunque un calo netto di consensi elettorali ma, nel contempo, ne ribadisce la consistenza politica proprio nella sottolineatura di una posizione in quel centro del quale l’Italiana polis ha tanto bisogno anche e soprattutto dopo l’exploit del Movimento 5 Stelle.
E che persino un Luigi Di Maio, nelle sue dichiarazioni quotidiane da incaricato (non da Sergio Matterella) rincorso da quei media già saltati sul suo carro, reciti compunto un copione da moderato, la dice lunga come la corsa verso il centro sia, oggi che è primavera, la spinta più diffusa ma non sempre la più credibile, al di là delle giravolte del casaleggismo, una sorta di filosofia politica nuovista ma nient’affatto nuova, anzi vecchia come il cucco – dalla Prima a questa Terza o quasi Repubblica – ancorché spacciata in forme più sofisticate, almeno dal punto di vista dei computer, di Twitter, ecc.. Ma dove il contenuto latita.
Il ritorno del Cavaliere, anche rispetto all’irruenza salviniana in virtù della forza elettorale, infrange non soprattutto il sogno di coloro i quali già parlavano e auspicavano una scomposizione del centrodestra senza tuttavia rendersi pienamente conto che anche il vento in poppa a Matteo Salvini oggi è favorito, e non di poco, dal berlusconismo, ora di lotta ora di governo, ma sempre contenitore di desideri, sogni e necessità. E Salvini questo lo sa. Come non può non sapere non solo o non tanto che il suo partito è stato votato da chi non vuol pagare più tasse per mantenere la gente, ma soprattutto che il successo che gli ha permesso di emanciparsi da Berlusconi è tuttavia debitore, per moltissimi aspetti, alla spinta per l’unità del centrodestra in assenza della quale Salvini rischia di correre a vuoto. E di fare il gioco proprio di chi, come Casaleggio, considera la politica un gioco che il nuovo che avanza distruggerà dalle fondamenta col funerale dei vecchi partiti. Ma quando? Ma come? E, soprattutto, in nome di che? Di quale programma? Di quale progetto?
Funerale dei (vecchi) partiti, si diceva. Cioè, per i grillini, il funerale degli altri. Intanto, siamo davvero sicuri che l’Italia sia un Paese nel quale poter ripetere esperimenti dissennati? Così, tanto per dirla con “Italia Oggi”, l’alleanza Salvini-Di Maio annuncia ai non disattenti “una sorta di Venezuela in salsa mediterranea con conti pubblici scassati per i prossimi 90 anni, con disoccupati e incapaci al volante del governo e con un Paese che si sfascia definitivamente”.
Del resto, come si dice da qualche parte, “un governo populista Lega-Grillo che metta insieme il Nord che vuole pagare le tasse e il Sud che vuole fargliene pagare di più, è davvero un toccasana? Ed è immaginabile che quelli (tanti) che hanno votato Lega e che si sentono a volte sotto assedio nelle loro fortezze padane, possano essere così affascinati dalla litigiosità di un governo col partito azienda di Casaleggio, un partito sudista, summa ed emblema di tutte le demagogie fiscali”. E non solo.
È primavera e si svegliano non solo le bambine. E in politica c’è chi rientra per farla per un Paese che di tutto necessita fuorché della demagogia populista, e chi vi è entrato premiato da tanti, troppi voti senza un programma degno di questo nome, senza un progetto, neppure minimo, che non siano insulti, parolacce e promesse con in più, e in peggio, la presunzione di essere i più bravi, i più capaci e, mi raccomando, i più onesti.
Paolo Pillitteri (L’Opinione)
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