Milano 31 Marzo – “Quando incontrate i miscredenti colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati”. Tagliargli la testa e i genitali!», così Abdel Salem Napulsi in una conversazione intercettata il 23 agosto scorso in cui si scagliava contro gli infedeli occidentali. Già detenuto a Rebibbia, fermato a ottobre in provincia di Latina, Napulsi si addestrava su internet: aveva scaricato almeno sedici video di propaganda islamista insieme alle istruzioni sull’uso di carabine ad aria compressa e lanciarazzi e tentato di acquistare un mezzo tipo furgone o pick up che sarebbe servito a compiere attentati. Dopo i blitz antiterrorismo di Foggia e Torino, gli uomini della Digos di Roma e di Latina hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di sospetti fiancheggiatori dei Anis Amri, l’attentatore di Berlino che 12 dicembre 2016 falcidiò dodici persone piombando con un camion rubato sul mercatino di Natale a Breitscheidplatz, e che venne ucciso tre giorni dopo a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, da due poliziotti. Addestramento e attività con finalità di terrorismo internazionale e associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: questi i reati contestati a vario titolo a Napulsi e altri quattro persone, tutte residenti fra Lazio e Campania e in contatto con la rete jihadista, individuati grazie all’analisi dei tabulati telefonici di Amri e dei suoi contatti italiani.
IL MALAWARE DI DAESH. La minaccia del terrorismo non solo è «cogente e costante, ma ci accompagnerà per un periodo non breve», «da almeno quattro, cinque mesi, in rete, è ripresa con forza la propaganda dell’Isis che invita a guardare Roma come obiettivo fortemente simbolico della campagna del terrore», ha detto ieri il ministro dell’interno Marco Minniti a Carlo Bonini su Repubblica: «Nel momento in cui Islamic State ha perso dal suo orizzonte, perché sconfitto militarmente, l’obiettivo strategico di farsi Stato e Califfato mondiale, resta solo la leva terroristica. A questo proposito, ci sono tra i 25 e i 30 mila foreign fighters che, di fronte a una rotta militare, si preparano a una diaspora individuale verso l’Europa che, necessariamente, sfrutterà le rotte rimaste aperte. Dunque, quella del Mediterraneo centrale. Il che pone l’Italia in una posizione ancora più cruciale e indica il controllo dei confini libici, settentrionali e meridionali, come una priorità della nostra sicurezza nazionale. E tutto questo, per non parlare dei lupi solitari. Campioni di quel terrorismo molecolare autoradicalizzato figlio del seme della propaganda digitale, del malaware di Daesh, rispetto ai cui danni nessuna diagnosi è ancora possibile e che, come dimostra anche l’attacco a Carcassonne, si manifesta sempre quando è troppo tardi».
OTTANTA DI CUI AVERE PAURA. Dopo l’attacco della settimana scorsa nel sud della Francia, Roma si prepara dunque a una Pasqua blindata, «la minaccia è incombente e non è passata», ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli nel saluto rivolto a papa Francesco durante l’udienza riservata al personale dell’Ispettorato di Ps presso il Vaticano. I reparti Antiterrorismo della polizia e dei carabinieri confermano che negli ultimi tre mesi i messaggi sul web che invitano a colpire l’Italia sono raddoppiati rispetto all’anno passato «e la gran parte non è scritta in arabo ma in un perfetto italiano» (Repubblica). Dall’inizio del 2018 il Viminale ha rispedito a casa due stranieri a settimana ritenuti «pericolosi per la sicurezza nazionale», solo in marzo sono state tre le espulsioni di sospetti jihadisti: 28 in tutto da gennaio e 264 dal 2015 (105 nel 2017). Eppure oggi si contano ottanta potenziali terroristi nella lista di primo livello dei servizi italiani, mille i potenziali jihadisti con pericolosità minore: lo rivela Fausto Biloslavo sul Giornale, aggiungendo ai numeri delle espulsioni e della minaccia jihadista quelli di «375 radicalizzati in carcere, che prima o dopo escono».
DALLE ESPULSIONI AGLI ARRESTI. Già a gennaio il Guardian, ottenuta una lista dell’Interpol di 173 presunti combattenti dello Stato islamico che sarebbero stati addestrati per organizzare attacchi suicidi in Europa, aveva iniziato a far circolare una lista di 50 sospetti combattenti, tutti cittadini tunisini, approdati sulle coste italiane, informazioni smentite dal Viminale che tuttavia aveva confermato l’espulsione di tutti soggetti segnalati dalle autorità di Tunisi. Di un rientro di cinquanta foreign fighters ha parlato anche il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho intervenendo ieri a Radio anch’io per parlare di terrorismo in Italia all’indomani degli arresti di Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman a Foggia e di Elmahdi Halili a Lanzo, in provincia di Torino. Arresti, non espulsioni, a conferma, come ha scritto Grazia Longo sulla Stampa, «che è cambiata la fenomenologia del problema. Non siamo più di fronte a imam su cui grava l’ipotesi di un coinvolgimento nelle fila dell’Isis. Ora dobbiamo fare i conti con un pericolo reale: crescono indizi e prove sull’attività di arruolamento di potenziali terroristi». Dagli anni 80 agli anni 2000 in Francia, Belgio, Germania e Gran Bretagna, la genesi è sempre stata infatti la stessa: «I predicatori islamici hanno allevato schiere di terroristi tra gli immigrati di seconda generazione», «pescano tra le fasce più disagiate dei musulmani». La Stampa riporta i numeri elaborati dalla Fondazione Ismu in collaborazione con Orim Lombardia, e integrati con i dati aggiornati Istat e del ministero dell’Interno al 1 gennaio 2017: oggi in Italia ci sono residenti circa 2.520.000 musulmani, pari al 4 per cento di tutta la popolazione. Il 43 per cento ha cittadinanza italiana, mentre il restante 57 per cento ha nazionalità straniera. E se negli ultimi tre anni l’Italia ha espulso 16 predicatori islamici, oggi questi finiscono in carcere.
«SGOZZALO, INVESTILO, BUTTALO DA UN PIANO ALTO, BRUCIA LA SUA CASA». Invitava i bambini dai 4 ai 10 anni a «combattere i miscredenti, con le vostre spade tagliate le loro teste, oppure sparate con i vostri proiettili, con le vostre cinture esplosive fate saltare in aria i loro corpi, occorre rompere il cranio dei miscredenti e vere il loro sangue per ottenere la vittoria» Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman, predicatore del centro culturale islamico al-Dawa di Foggia, il primo in Italia a chiudere per radicalizzazione. E reclutava ipotetici terroristi disposti a farsi saltare in aria o a guidare camion sulla folla il giovane figlio di immigrati marocchini Elmahdi Halili. In una scala da 1 a 10, dicono gli esperti dell’antiterrorismo Halili era a livello 9, per la sua capacità di interpretare al meglio questa stagione di jihad post-ideologica, «in cui non conta più il messaggio in sé, ma prevale il mezzo col quale viene trasmesso: la rapidità di diffusione, la sua capacità di fare presa con immagini dalla forza ipnotica – scrive Massimiliano Peggio ancora sul quotidiano di Torino –. Rilanciando le dottrine del terrore, incitava a uccidere i miscredenti, “con ordigni e pallottole”. E se “non riesci a spaccargli la testa con una roccia – scriveva – sgozzalo con un coltello, investilo con un’auto, buttalo da un piano alto, soffocalo, avvelenalo, non fallire. Se non riesci allora brucia la sua casa, la sua auto, la sua attività, rovina la sua coltivazione. Se non riesci sputagli in faccia”». Arrestato e condotto in questura a Torino all’interno di una delle tante operazioni antiterrorismo e perquisizioni in corso in queste ore nel nostro paese Halili ha proclamato prima in italiano e poi in arabo: «Sono fiero di andare in carcere per Allah».
ROMA BLINDATA. Da ieri diecimila uomini sono impiegati 24 ore su 24 nelle strade della Capitale per il Piano Pasqua sicura, per sorvegliare soprattutto gli eventi presieduti da Papa Francesco, in primis la Via Crucis al Colosseo nella serata di venerdì e la Santa Messa di domenica. Lunedì scorso a Pompei, il 21enne algerino Othman Jridi, sul quale pendono due provvedimenti di espulsione emessi in Italia e Francia, ha percorso contromano a bordo di un’auto rubata una strada nei pressi del santuario. Durante l’udienza che lo ha condannato a due anni e otto mesi di carcere per furto di auto e false dichiarazioni ha recitato una litania in arabo e ammesso l’assunzione di sostanze psicotrope prima di mettersi alla guida «per sentirsi più vicino ad Allah».
Caterina Giojelli (Tempi)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845