Milano 11 Aprile – La riduzione dei costi dei politici (spesso non all’altezza del ruolo che sono chiamati a ricoprire) è giusta. Ma, conti alla mano, sono retorici e incidono poco: la riflessione di Luca Ricolfi sul Messaggero del 7 aprile 2018
Per fortuna faccio parte della piccola minoranza che, sulla scorta degli esempi belga e spagnolo, sospetta che l’assenza di un governo faccia bene all’economia. Sì, perché se non avessi questo sospetto, o questo motivo di consolazione, sarei molto arrabbiato con i partiti.
Ma come? Avete avuto più di un mese per riflettere, incontrarvi, aprire tavoli, negoziare, annusarvi, e quando finalmente il Presidente della Repubblica inizia le consultazioni, e chi ha votato si aspetta che nasca finalmente un governo, voi non trovate di meglio che “ribadire” le vostre posizioni, i vostri programmi, i vostri veti, e alla fine chiedete una cosa sola: più tempo. Un’aggiunta di tempo che non serve, come nel caso tedesco, a mettersi a tavolino per definire nei minimi dettagli un programma di legislatura, concordato fra partner che hanno deciso di collaborare, ma serve a continuare un gioco fatto di incontri, vertici, abboccamenti più o meno segreti, che dura da un mese, e che evidentemente piace molto ai nostri politici.
I quali, per ora, su tutto si dichiarano in disaccordo, tranne su una piccola cosa, una piccola idea, che sta affiorando negli ultimi giorni: l’abolizione (o la limatura) dei vitalizi dei parlamentari, un provvedimento che prima di Natale era stato approvato alla Camera, ma si era alla fine arenato al Senato, proprio negli ultimi giorni della legislatura. Su questo soprattutto Cinque Stelle e Lega paiono pronti ad agire.
Naturalmente non ho nulla contro un ridimensionamento degli emolumenti di una categoria di privilegiati, spesso non all’altezza del ruolo che sono chiamati a ricoprire, quali sono i parlamentari italiani. E tuttavia non riesco a non provare perplessità, per non dire un senso di fastidio, per la retorica con cui se ne parla. La perplessità nasce, ovviamente, innanzitutto dal carattere platealmente demagogico dell’attacco ai «costi della politica», che molto ricorda l’altrettanto demagogica campagna del primo Renzi contro le «auto blu».
Ma non è solo questo. Colpisce, ad esempio, l’accanimento con cui si perseguono i vitalizi dei parlamentari e il silenzio tombale su altri, ben più incomprensibili, privilegi della politica e degli apparati che le gravitano intorno. Ok, i vitalizi costano quasi 200 milioni l’anno, in media 5-6 mila euro lordi al mese per ogni beneficiario. Ma, se vogliamo parlare di costi della politica, le retribuzioni scandalose sono ben altre: un consigliere regionale, nonostante le riduzioni attuate in alcune Regioni negli anni scorsi, costa alle casse pubbliche fra i 150 e i 200 mila euro l’anno; barbieri, segretari, elettricisti, nonostante qualche timido tentativo passato di ridimensionarne gli emolumenti, dall’inizio di quest’anno viaggiano di nuovo sui 100-150 mila euro l’anno; per non parlare delle mansioni parlamentari più qualificate, che non di rado sfiorano o superano i 200 mila euro, in barba a tutte le promesse passate di riportare un po’ di oculatezza nelle spese del Parlamento. Complessivamente, i vitalizi su cui negli ultimi giorni si è concentrata l’attenzione del Palazzo, ammontano a circa il 5% degli emolumenti della casta. Pensare che la loro riduzione (si parla di una limatura di 70-80 milioni di euro) possa avere effetti significativi sui conti pubblici è quantomeno ingenuo.
In realtà, quel che sembra sfuggire alla discussione sui costi della politica è il punto centrale del problema: il vero costo della politica non sono gli stipendi, ma sono gli sprechi che la cattiva politica autorizza e spesso promuove. In passato mi è capitato di stimare l’entità totale degli sprechi della Pubblica Amministrazione, settore per settore (dalla sanità, alla scuola, alla giustizia).
Ebbene, a spanne il conto è questo. La spesa pubblica non pensionistica ammonta a circa 500 miliardi l’anno. Di questi 500 miliardi, almeno 80 sono imputabili a sprechi. Il costo diretto della politica è dell’ordine di 5 miliardi di euro. I vitalizi degli ex-parlamentari pesano per 0,2 miliardi. Questo vuol dire che, fatta 100 la spesa pubblica non pensionistica gli sprechi ne rappresentano il 16%, il costo totale delle retribuzioni dei politici l’1%, e i vitalizi dei parlamentari lo 0,04%.
È come se andassi a comprare un’automobile che costa 20 mila euro, e il concessionario mi dicesse che abbatte la tua spesa con uno sconto di ben 8 (otto) euro. Questa è l’incidenza di una eventuale soppressione (totale) dei vitalizi. Una cifra così esigua che, con ogni probabilità, sarà interamente vanificata dal costo del contenzioso giuridico che potrà scatenare, come già avvenuto in passato.
Insomma: tagliate pure, riducete, moralizzate, fate quel che vi pare, ma non veniteci a raccontare che così si liberano risorse per la crescita, o per qualsiasi altra cosa importante. Perché le cose importanti costano di più, molto di più. E certe misure possono anche essere dei segnali positivi, ma devono valere erga omnes, e soprattutto non devono creare pericolose illusioni.
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