Rapporto sui Comuni lombardi che tassano di più le imprese. A Milano pressione fiscale cresciuta del 9% in sei anni.
Milano 13 Aprile – Saranno anche nell’unica area del Paese che ha già recuperato l’occupazione e il Pil del periodo pre-crisi, e che si è lasciata alle spalle la doppia recessione che ha azzoppato l’Italia, ma quando si parla di pressione fiscale locale, le imprese milanesi hanno poco da sorridere. Complici le politiche adottate nei cinque anni dell’amministrazione Pisapia, nel corso dei quali gran parte dei tributi e delle tasse locali sono stati ritoccati al rialzo per rimpinguare le casse comunali, Milano è il Comune della Città Metropolitana in cui il carico fiscale complessivo sulle imprese è il più alto di tutti.
Se si considerano l’Imu, la Tasi e la Tari sugli uffici e sui capannoni adottate dalle amministrazioni locali meneghine e da quelle delle province di Monza e Brianza e Lodi, il capoluogo lombardo risulta il posto in cui gli imprenditori devono sopportare costi di gran lunga più alti di quelli degli altri comuni. Tanto che il carico fiscale complessivo su un ufficio tipo di 500 metri quadrati in una zona semicentrale raggiunge la quota monstre di 16 mila euro all’anno, contro gli 11 mila euro che si spendono nel secondo comune in classifica, quello di Sesto San Giovanni. Ma ancora peggio va agli imprenditori che svolgono la propria attività all’interno di un capannone industriale. In questo caso, infatti, il carico fiscale locale per un edificio di tipo di 5 mila metri quadrati posizionato in una zona periferica è addirittura di 61 mila euro all’anno, contro una cifra compresa tra i 59 mila e i 53 mila euro che si paga nei comuni che seguono in classifica: Bollate, Paulo, Rozzano e Sesto San Giovanni.
E quanto emerge dal sesto Rapporto sulla fiscalità locale nei comuni della Città metropolitana di Milano e delle province di Monza e Brianza e Lodi, promosso da Assolombarda. Secondo l’indagine, che ha messo a confronto i valori delle imposte gravanti sugli immobili di impresa in ben 250 comuni, considerando Imu, Tasi, Tari, oneri di urbanizzazione e, per quanto riguarda le persone, addizionale Irpef, le imprese milanesi sono dunque quelle che sopportano i costi più alti. Un dato che non deve comunque far pensare che negli altri comuni le imprese se la passino bene. Anche se nel 2017 si è registrata una lievissima riduzione della pressione fiscale rispetto all’anno precedente (-0,4% per i capannoni e -0,3% per gli uffici), negli ultimi 5 anni gli uffici hanno infatti visto un incremento della pressione dell’8,7%, che li ha portati a pagare in media 619 euro in più, mentre i capannoni industriali hanno subito un incremento del 9,1%, pari a 3.346 euro in più. Nel complesso i costi medi della fiscalità locale per un ufficio tipo nel territorio preso in considerazione sono di 7.746 euro, mentre quelli per un capannone tipo sono di 39.947 euro.
Un peso enorme, soprattutto se si pensa che «il costo che un imprenditore paga per un capannone corrisponde a quello di due lavoratori, che però non ha», ha commentato Carlo Ferro, vicepresidente di Assolombarda con delega a Politiche industriali e Fisco, sottolineando la necessità di «ridurre il peso dell’imposizione fiscale sulle imprese e snellire la burocrazia per rendere il territorio ancora più attrattivo, in aggiunta ai suoi requisiti di imprenditorialità, competenze e qualità del lavoro».
Anche se esistono alcune buone prassi da parte di alcuni comuni, la cui diffusione è favorito dal dialogo con Assolombarda, i costi in generale restano dunque troppo alti. Al punto che le imprese lombarde sopportano una pressione fiscale circa i110% superiore rispetto a quella media europea.
Dino Bondavalli (Libero)
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