Se il turismo fosse davvero il nostro petrolio, la settimana scorsa qualcuno avrebbe iniziato a bruciarne i pozzi. Ovvero: la materia prima ci sarebbe ancora, ma si sarebbe deciso di smettere di monetizzarla. La domanda, di fondo resta perché. Intanto vediamo la cronaca dell’evento, lasciata a Repubblica per evitare accuse di faziosità.
La decisione è stata presa dal Comune nei giorni scorsi. Il 31 dicembre era scaduta la concessione per la vendita di articoli con il logo Milano (una iniziativa partita ai tempi della giunta Moratti). La giunta aveva deciso una proroga di sei mesi, quindi fino a giugno. Ma, nel frattempo, facendo in analisi di costi e benefici, la scelta è caduta sul ridimensionamento drastico dell’operazione pubblicitaria. Spiega l’assessore al Turismo Roberta Guaineri: “Si tratta di un cambio di strategia che comprende anche una razionalizzazione del merchandising, che oggi va dalle magliette ai portachiavi. Vogliamo puntare sui prodotti più rappresentativi per Milano e che già oggi sono i più richiesti, come il panettone, che è il simbolo della nostra città”. Non c’è una decisione, invece, sui negozi ufficiali del brand Milano: la struttura di piazza San Babila (nata prima di Expo) e l’altro store di piazza Cordusio. I prodotti vengono venduti già oggi anche all’Urban center, che potrebbe restare l’unico punto vendita.
Ora, per carità, se dopo sette anni le magliette non vendono, chiudere è una opzione come un’altra. Un’altra, nello specifico, è rilanciare il brand. Quando scegliere l’una o l’altra? La prima è opportuna quando si è in liquidazione, l’altra in ogni altro caso. New York è paradigmatica: la sigla I love New York, la mela, tutto il resto sono l’esempio che una città può monetizzare il nome e la reputazione. E non farlo una volta all’anno con i panettoni. Davvero, siamo all’abc del marketing. E non mi si venga a dire che mancano soldi, che per portare il relitto del barcone a Città Studi ne hanno trovato un sacco ed una sporta. Niente, è come sempre il medesimo discorso: questa giunta procede a tentoni, nel buio e senza una visione per la città. Una visione, che non sia quella di Majorino, ovvero di un misto tra le favelas venezuelane e la città proibita di Pechino, ovviamente.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,