Un’altra vittima dell’integrazione fallita

Cronaca

La storia è di due giorni fa e a onor del vero non è chiarissima:

Uccisa perché voleva voleva sposare un giovane italiano di origine pachistana, rifiutando lo sposo scelto per lei dalla famiglia, in Pakistan. E’ quanto sostengono gli amici di Sana Cheema, 25 anni, una giovane pachistana che viveva da sempre a Brescia, dove si era bene inserita: dopo gli studi, i primi contatti con il mondo del lavoro a Milano. E poi l’amore: un ragazzo di cui non si sa molto, anche loui di origini pachistane e con cittadinanza italiana, che Sana aveva scelto e con il quale contava di sposarsi, nonostante il fermo divieto dei familiari. Un giovane che dopo aver vissuto con lei per anni a Brescia le aveva proposto di seguirlo in Germania.

Un paio di mesi fa Sana, però, secondo quanto riporta il Giornale di Brescia, è tornata in Pakistan, nel distretto di Gujrat dove è nata: lo faceva di tanto in tanto, lo ha rifatto per andare a ricongiungersi con i familiari per un breve periodo. Non è più tornata. In rete è stato postato dalla famiglia un video del funerale, celebrato secondo il rito islamico. Morta in un incidente secondo i familiari; sgozzata dal padre e dal fratello, secondo gli amici di Brescia. I due sarebbero stati arrestati dalla polizia di Gujrat, ma non ci sono conferme.

Fin qui Repubblica. Non è del tutto implausibile che le ragioni siano tribali, più che religiose. Ed è anche largamente irrilevante, in effetti. La cosa davvero importante è che, ancora una volta l’integrazione ha fallito. Qui non si parla di dati statistici, ma di una riflessione globale scaturita da una serie di singoli casi: finora l’integrazione è stata utilizzata, soprattutto a sinistra, come panacea. Almeno all’inizio. Poi, misurati i fallimenti, si è invertito il paradigma: adesso l’integrazione è diventata un mantra a destra, mentre per i compagni, anche quelli che talvolta non sbagliano, l’obiettivo è adeguarci noi ai costumi altrui, accogliendo tutto, oltre che tutti, per arricchirci. In ogni caso si sottovaluta un problema, non da poco: chi viene qua per lavorare non fa una scelta ideologica. Né nel senso dell’invasione, nella stragrande maggioranza dei casi, né nel senso dell’integrazione, anche qui nella maggior parte dei casi. Viene qui per fare fortuna, non per diventare occidentale. Pretendere che lo divenga, ad un certo punto, è abbastanza ingenuo. Il massimo che possiamo chiedere è che accetti le nostre leggi. Ma per capire se lo farà davvero non basta un ciclo scolastico. E che cresca qua non vuol dire molto, come il fratello di questa povera ragazza dimostra. Abbiamo bisogno di tempo, di osservazione, di analisi. Non di automatismi ed ideologia. Ogni persona è un caso a sé, il modo peggiore per gestire il fenomeno è massificare tutto per amore di ideologia. Quindi, riassumendo: l’integrazione di massa, in un vero o nell’altro è utopia. La dura realtà, come sempre sono le scelte individuali. Per poterle valutare ci vuole tempo. E vanno evitati gli automatismi. Il resto è dolore e silenzio per rispetto ad una giovane vita spezzata.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.