I 5 Stelle vogliono un patto che imponga al Pd il ruolo di sconfitto

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Di Maio stretto tra la base e il fattore Renzi

Milano 29 Aprile – Non escludono un cenno di apertura da parte dell’ex segretario Matteo Renzi, dopo quello del «reggente» del Pd, Maurizio Martina. E sono pronti ad assecondarlo elencando i famosi «contenuti» che potrebbero portare alla firma del cosiddetto contratto di governo, evitando pudicamente di chiamarlo accordo. Ma l’impressione è che, comunque, per il Movimento Cinque Stelle un compromesso con i nemici di ieri sia, più che una strada in salita, un’autentica arrampicata; e viceversa. Luigi Di Maio e la sua cerchia di fedelissimi pensavano di trattare con un Pd, se non emancipato, comunque in grado di arginare e piegare il leader dimissionario, sconfessato dagli elettori. E invece, stanno capendo che dovranno raccontare e fare digerire alla propria base che forse si alleeranno con i dem; e con la presenza probabile dello stesso Renzi tra gli interlocutori.

Sia chiaro: si tratta di un problema simmetrico a quello che il vertice del Pd ha rispetto ai militanti del centrosinistra. Smaltire in pochi giorni anni di veleni e di insulti reciproci non è facile per nessuno. Ma i Cinque Stelle hanno ottenuto un grosso successo elettorale, i dem una sconfitta storica. E mettere insieme due atteggiamenti anche psicologici agli antipodi complica la reciproca capriola strategica. Perché un mezzo sì rischia di essere presentato dal Pd come quello del «salvatore della patria» chiamato a risolvere l’inconcludenza di chi si è considerato il «vincitore» del 4 marzo; e l’offerta del M55, di essere vissuta dalla «Rete» come un atto di debolezza, o un tradimento. Così, nonostante gli sforzi per sottolineare punti di contatto, la trattativa rimane in bilico. Per i Cinque Stelle, si dovrebbe formare un esecutivo guidato da Di Maio; segnato da priorità come il reddito di cittadinanza; e con un Pd associato con un ruolo minore: qualcuno arriva a dire, in modo ingeneroso, «alla Angelino Alfano», il capo del partitino centrista nei governi della passata legislatura. L’impostazione risponde a una doppia esigenza: dimostrare che non si cerca di formare una coalizione a ogni costo; e tacitare un Movimento inquieto per l’apertura a sinistra. L’assemblea dei parlamentari dell’altro ieri avrebbe dimostrato una compattezza dietro alla leadership di Di Maio perfino sorprendente.

Ma se il dialogo continua e accanto a Martina ricompare anche Renzi, nessuno è disposto a scommettere che non ci saranno reazioni e scosse sia tra i Cinque Stelle, sia nel Pd. È altamente improbabile che una impostazione quasi umiliante come quella che ha in mente il vertice del Movimento venga accettata dai nuovi interlocutori. I dem rappresentano una forza troppo divisa e indebolita da anni di declino politico e elettorale; e bersagliata ferocemente fino all’altro ieri dai seguaci di Beppe Grillo. Già si nota che i timidi segnali distensivi delle prime ore, dopo la fine dell’esplorazione del presidente della Camera, Roberto Fico, sono in parte rientrati.

L’insistenza dem su un dialogo concesso più per cortesia verso il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che per convinzione, sembra dare ragione alle ironie del centrodestra su una pantomima senza lieto fine: sebbene il sarcasmo includa anche l’oscuro timore che l’operazione riesca, se non altro per scongiurare elezioni anticipate. A peggiorare la situazione e le diffidenze c’è la strana inversione dei ruoli tra M55 e componente renziana del Pd: i primi, attenti alle richieste del presidente della Repubblica; la seconda, incapace di ristabilire un rapporto dopo le incomprensioni e le tensioni emerse anche sul rinnovo del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, inviso all’allora segretario dem.

Per quanto il partito abbracci Mattarella, quelle vicende hanno scavato un solco. E diventano un elemento di incertezza in più, nel momento in cui parte del Pd continua a recriminare per una sconfitta «ingiusta»: al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, e alle elezioni di marzo. Non bastasse, M5S e Lega sospettano che i dem accarezzino il sogno di un governo con FI; e Renzi e Berlusconi continuano a temere una saldatura in extremis tra Di Maio e Matteo Salvini. Eppure, almeno a sentire i Cinque Stelle, l’ipotesi che possa riaprirsi per magia il «forno» con una Lega esaltata dal voto di domani in Friuli-Venezia Giulia, non esisterebbe.

Dalle parti del Movimento, si ritiene che Salvini sia in qualche modo «già all’opposizione». Ma soprattutto, un Di Maio che si sforza per accreditarsi come interlocutore affidabile a livello internazionale, sa che il Carroccio è guardato con ostilità dagli alleati occidentali per le posizioni filorusse e anti-Ue: anche se la base grillina mostra di preferirlo al Pd.

Massimo Franco (Corriere)

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