Milano 8 Maggio – Quando qualche settimana fa è venuto a Milano Michael Frayn, lo scrittore inglese autore di “Copenaghen”, grande successo teatrale da oltre dieci anni, è subito voluto andare alla Pinacoteca di Brera per ammirarne la raccolta. Ha fatto quello che decine di turisti fanno ogni giorno: vengono a Milano anche per vedere un museo con capolavori insuperabili. Eppure, come già segnalato, nonostante la vivace gestione di James Bradburne, Brera continua ad apparire, all’esterno, un edificio trascurato e poco valorizzato. L’ultima nota negativa, la scriveva su queste pagine Chiara Gatti, a proposito delle malconce panchine del cortile dove nessuno ha il coraggio di sedersi, piene di scritte e sporche come sono. E non è meglio fuori, con l’ingresso “nascosto” dalle bancarelle: non si ha nulla contro il commercio privato, ma ci si chiede se è necessario che stiano lì. Milano è sempre stata un po’ sciatta nei dettagli del proprio maquillage urbanistico (leggendarie le critiche sulle decine di tipi diversi di lampioni, o la folla di pali tutti di colori svariati agli angoli delle strade). A piazzale Cadorna, per dire, persiste il problema delle fontane che fanno le alghe e cosa sarà con l’estate quando chioschi, dehors, recinzioni, verranno messi da bar e locali sui marciapiedi? Il Comune, è vero, ha stilato un “Manuale per l’arredo urbano” ma basta? La riqualificazione e valorizzazione degli spazi pubblici non è solo una questione di estetica ma inevitabilmente diventa Lin fatto etico e culturale. Oltre che funzionale, l’armonia, la bellezza, la cura del bene pubblico è connessa a processi di attenzione collettiva: aumenta la responsabilità di chi lo vive. E non è poco.
Anna Bandettini (Repubblica)
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