Milano 8 Maggio – Ermanno Olmi si è spento, ma non si spegne la sua luce. E quello sguardo che sapeva dare colore e intensità al sapore del pane, al profumo dei fiori, alla fatica, al sudore, al linguaggio, al giorno che nasce, all’amore paterno, ai campi di grano di una pianura infinita fino all’orizzonte. E la terra è stata l’amica, l’ispirazione per un racconto dei sentimenti eterni, dell’umiltà nel quotidiano, della semplicità del vivere. Un poeta che ha saputo cantare la vita rurale, la preghiera, le tradizioni, rivivendo dal profondo dell’anima le emozioni di un’umanità solidale. L’ho incontrato negli anni 90: era interessato ad ambientare una sua produzione a Bovisa nella zona dei Gasometri, dove il Politecnico intendeva spostare alcuni Dipartimenti di Ingegneria. Parlava con uno sguardo bonario, interessato, quasi che anch’io potessi dire cose importanti, perché voleva capire la persona e il dialogo diventò uno scambio gratificante: quanta sensibilità intelligente in quello sguardo!
Voglio ricordare così un Maestro di umanità
Chi era Ermanno Olmi nel testo tratto da Cinquantamila.it di Giorgio Dell’arti e riproposto da Linkiesta
- Ultimo film Torneranno i prati (2014), sulla Prima guerra mondiale, girato di notte, d’inverno, «nelle trincee ricostruite sui monti sconvolti dalla Battaglia degli Altipiani del 1916-17, mica in uno studio riscaldato di Cinecittà con la macchinetta del caffè dietro la garitta (…) Loredana, la moglie, sospira incerta tra rassegnazione e orgoglio. Così è fatto, l’Ermanno. D’inverno! Di notte! Su e giù in groppa al gatto delle nevi!» (Gian Antonio Stella).
• Nel 2007 ha realizzato due documentari, uno su Kounellis intitolato Atto unico, e un altro, ancora dedicato al mondo dei contadini, intitolato Terra madre e realizzato all’interno dell’omonima iniziativa di Carlo Petrini. Nel 2009 Rupi del vino. In teatro ha diretto Teneke, di Fabio Vacchi.
• Nel 2008 premiato a Venezia col Leone d’oro alla carriera. Lo stesso anno l’editrice San Raffaele ha pubblicato Il sentimento della realtà, libro intervista a cura di Daniela Padoan. «Ogni volta che si comincia un film è come con Cristoforo Colombo: si parte per le Indie, se va bene si arriva alle Americhe. Altrimenti si va a fondo. È il cinema».
• Tra i suoi film: Il posto (David di Donatello per la regia, 1962), L’albero degli zoccoli (1978, Palma d’oro a Cannes, David miglior film; Nastro d’argento film e regia: la Federico Motta editore ne ha messo in vendita un’edizione restaurata in dvd allegata a un volume curato da Lorenzo Codelli), La leggenda del santo bevitore (1988, Leone d’oro a Venezia, David film, regista, montatore; Nastro per la regia), Il mestiere delle armi (2001, David per film, regista, sceneggiatore, produttore).
• «Intorno ai 5 anni, andai a vedere una recita di mio fratello all’oratorio della Bovisa. Da lì nacque la passione per il teatro. Durante l’estate i miei genitori mi mandavano nelle colonie della Edison, di cui mio padre era dipendente. Mi emozionavo davanti al palcoscenico e inventavo piccole storie» (Annachiara Sacchi). - «Mio padre Giambattista, ferroviere socialista, era stato esonerato dal fascismo e, dopo due anni di disoccupazione, fu assunto dalla Edison. A quei tempi si diceva: “Chi volta il culo a Milano, volta il culo al pane”, un detto che forse vale anche oggi e mi scuso, in dialetto è meno volgare. Arrivati in città, mi stupirono gli odori: il gas di cucina, il ferrigno sapore del tram, il grasso di macchina che sentivo addosso a mio padre. A quindici anni, entrai anche io alla Edison, come dipendente».
• «Mio padre morì quindici giorni dopo il bombardamento dell’edificio in cui lavorava. Allora non esistevano le possibilità scientifiche per verificarlo ma è probabile che la morte fu causata da un embolo dovuto al violento spostamento d’aria causato da una bomba».
• «Se dovessi definirmi, direi di essere stato sempre un uomo libero, un cinematografaro – come mi piace questa parola, com’è brutto dire cineasta – senza un impegno politico. L’accusa più ricorrente, contro di me, è sintetizzata in una critica: “Si nota il limite cattolico dell’autore”, dissero di un mio lavoro, tanti anni fa, mentre io non ho mai neppure sottoscritto il cattolicesimo. Sono soltanto un aspirante cristiano e penso che la migliore ideologia consista nel non essere schiavi dell’ideologia».
• «Il vero problema per noi registi è che ti senti libero di inventare, ma poi hai a che fare con i numeri, esigenze di costi, rischi del business, di cui sei responsabile. Il film costoso che fallisce è un problema di ordine morale, oltre a provocare danni al produttore. Il film che vorrei fare è quello dove posso fare quello che voglio e non costa niente. Parlavano tempo fa di uno scienziato che voleva trasferire il pensiero in immagini… Sarebbe il massimo».
• «I miei film io li scrivo sempre come fossero delle storie. Non ho mai fatto una sceneggiatura tradizionale, con le indicazioni delle riprese o degli obiettivi da usare. Io scrivo dei “raccontoni”, poi tiro delle linee per dividere le possibili scene e mi appunto delle idee: qui un piano lungo, qui magari un primo piano. Ma è solo sul set, con la macchina da presa al mio fianco, che decido come riprendere» (da un’intervista di Paolo Mereghetti).

Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano