Il PD? Perdente ma contento

Attualità

Milano 12 Maggio – Ricordate quella battuta popolare? Quando, cioè, la figlia adolescente confessa alla madre di essere sì incinta, ma: “poco poco”.

Ecco, la metafora è perfettamente aderente all’atteggiamento odierno dei dirigenti sconfitti del Nazareno, sede del Partito Democratico. Nessuna riflessione critica da parte loro per individuare quale comportamento, strategia e scelte li hanno inguaiati al punto di dimezzare i consensi precedenti eliminandoli da tutti i giochi di palazzo, fuorché quello della grande ammucchiata di stampo quirinalizio, in cui le singole responsabilità si sarebbero confuse e rese indistinguibili nel governo comune di salute pubblica di breve durata. Solo, appunto, come farebbe un’adolescente, quella inutile confessione pubblica di chi avendo perso le elezioni pone arbitrariamente direttamente all’opposizione i milioni di consensi ricevuti, senza quindi prima consultare la base per la scelta delle alleanze. Così come la figlia litigherebbe aspramente con sua madre per l’imperdonabile errore commesso, parimenti le anime della vecchia sinistra catto-comunista si prendono a capelli su questioni del tutto irrilevanti e marginali per le sorti dell’Italia.

Infatti, anche se si fosse consacrato l’ircocervo Pd-M5S voluto dall’amante minoritario Martina-Franceschini-Emiliano è difficile immaginare il volto e il carattere della creatura che poi ne sarebbe nata. Ovvero: quale sarebbe stato lo spazio comune d’intesa, visto che entrambi i loro leader nazionali avevano giurato prima e dopo il cinque marzo che l’eventuale matrimonio politico riparatore (dopo la sconfitta bruciante dell’uno e il successo travolgente dell’altro su propagande elettorali opposte) non sarebbe mai stato possibile? Del resto, dopo il cinque marzo avevo evidenziato come Matteo Renzi mantenesse un assoluto potere d’interdizione rispetto alla scelte delle future alleanze di governo, detenendo un solido pacchetto parlamentare di controllo all’interno del Pd come della relativa assemblea nazionale. Una sorta di Passator Cortese, come lo furono Bettino Craxi e il Psi dei tempi d’oro. Per coerenza, occorre dire che non si può vincere perdendo, come sarebbe accaduto in caso della nascita dell’ibrido Pd-M5S. Infatti, gli elettori della sinistra, passati ad altri lidi, hanno voluto penalizzare con la loro scelta proprio le passate condotte dei governi a guida Pd, con particolare riferimento all’occupazione, all’immigrazione e alla sicurezza.

Quindi, Renzi non ha avuto altra scelta che tacere per quasi due mesi di trattative al Quirinale, facendo abortire l’ircocervo con una semplice dichiarazione televisiva nel solito talk-show mainstream. Dopodiché, è andata in scena l’usuale moina conformista: una direzione del Pd entrata profondamente disunita è uscita con una decisione unanime di bocciatura dell’intesa eventuale tra sinistra e M5S, per tornare a litigare e dividersi subito dopo sullo stesso argomento, una volta lasciata la sede della riunione. Comodo, in fondo: le “baruffe chiozzotte” sono un ottimo propagatore di nebbia per tenere costantemente fuori della porta della Storia i necessari chiarimenti sul fallimento della sinistra in Italia e in Europa, a partire dal 1992. Ricalcando le proprie orme, che lo videro puntare sulla vittoria della sindaca Virginia Raggi a Roma per dimostrare quanto il Movimento fosse incapace di governare realtà complesse, combinando solo guai (e qui, mi sembra, abbia avuto pienamente ragione), così oggi Renzi scommette sulla “Nitroglicerina” dell’alleanza ipotizzata tra Lega-M5S che, dal suo punto di vista, farebbe implodere in temi brevi le velleità populiste e sovraniste di entrambi. Un gioco d’azzardo, quindi, con molte incognite e “outcome” imprevedibili.

Maurizio Guaitoli (L’Opinione)

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