Minzolini “Il terremoto che romperà il Parlamento e la politica”

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Milano 20 Maggio – L’attuale situazione politica è contradditoria, in continua evoluzione, senza risparmiare ripicche e colpi bassi. Proponiamo l’analisi di Augusto Minzolini su Il Giornale: “Appena entri a Montecitorio ci metti poco a vedere i segni del terremoto che, negli ultimi due giorni, ha modificato la geografia dello scenario politico italiano. Il «rompisassi» del Pd in Rai, Michele Anzaldi, che inneggia al coraggio di Silvio Berlusconi per quella richiesta a Matteo Salvini: lascia stare i 5 stelle e torna nella casa del centrodestra.

«Finalmente scendono in campo le persone serie sospira prima che la casa bruci. E la casa sta bruciando, con i guai che stanno combinando. Solo che l’unico ad avere coraggio è Berlusconi: Mattarella avrebbe dovuto dare l’incarico da settimane, invece di minacciare in Tv un suo intervento e, poi, lasciare fare ai due dioscuri, Di Maio e Salvini, ciò che volevano. Avrebbe potuto dare un incarico a chiunque, magari al presidente del Senato, Casellati, e mezzo Pd avrebbe votato a favore. Invece…».

Invece siamo al terremoto del panorama politico. Le scosse sono profonde. Tant’è che Rocco Buttiglione arriva ad incitare parlamentari del Pd e di Forza Italia: «Dovreste fare un nuovo partito e avreste uno spazio enorme». Già, tutti pensano al futuro. «Da quanto risulta a noi confida Lorenzo Guerini, in lizza per la leadership del Pd Salvini non tornerà indietro. Del resto, come potrebbe andare davanti ai gazebo e dire Ragazzi ho scherzato!. Meglio così: lo scenario muta e si fa interessante».

Congetture. Suggestioni. Di certo, però, nulla sarà come prima. La rottura nel centrodestra è consumata. Non c’è nessuno che pensa che l’altolà del Cav spingerà il leader della Lega a tornare indietro. Né tantomeno che Berlusconi si rimangi ciò che ha detto. Rimettere insieme i cocci sarà difficile, se non impossibile. E la telefonata tra i due, dopo la sortita del Cav, ha solo suggellato la distanza. «Così mi hai spiazzato!», ha esordito il leader leghista, con voce adirata: «Mi avevi dato il via libera!». Ma questa volta non ha trovato un Berlusconi accomodante. Anzi. «In quel contratto giustizialista che hai firmato gli ha contestato c’è molto della Lega, moltissimo dei 5 stelle, nulla del centrodestra. E, comunque, ti avevo detto che avrei votato contro la fiducia a un governo del genere. E tu sei andato avanti lo stesso».

Non c’è più fiducia. Si entra in una nuova fase, ci si addentra in un territorio diverso, dove tutto si scompone e si ricompone. Ormai tutti sono convinti che l’intesa Salvini-Davide Casaleggio, il teorico dell’anima governativa dei 5 stelle, risalga a tanto tempo fa. Addirittura a prima delle elezioni del 4 marzo. «Quei due erano d’accordo da mo’!», ammette Annamaria Bernini. E il terremoto di magnitudo 9 della politica italiana nasce, soprattutto, dalla sensazione, sempre più evidente, che l’alleanza tra Salvini e Di Maio non sia solo contingente. Il motivo è semplice: perché Salvini, con i sondaggi che lo premiano, si sposa con Di Maio, quando il centrodestra, se si andasse a elezioni nel giro di sei mesi, potrebbe raggiungere la maggioranza assoluta? «La verità è l’analisi di Renato Brunetta è che questa è un’alleanza strutturale, un nuovo polo: il Pup, polo unito dei populisti. E noi dovremo inventarci qualcos’altro». Una prospettiva che Niccolò Ghedini, che per mesi si è speso per salvaguardare i rapporti con la Lega, non considera un’eresia. Tutt’altro. «Salvini spiega quest’operazione la meditava da tempo. Addirittura nel contratto c’è un punto in cui i due partiti siglano una sorta di patto di non aggressione: si impegnano, già per le elezioni europee, al reciproco rispetto. E cos’è questo, se non un tradimento del centrodestra?!».

Così, alla fine, temuta, arriva pure l’accusa di «tradimento», quella che Salvini avrebbe voluto ad ogni costo evitare: perché richiama il tradimento di Bossi nel ’95; il tradimento di Fini; il tradimento di Alfano. Un’accusa che pure i leghisti lanciano pubblicamente. Solo che a rendere pretestuoso il loro atteggiamento ci sono quei 70 parlamentari leghisti eletti nell’uninominale con i voti di tutto il centrodestra; e che ora saranno essenziali per tenere insieme una maggioranza diversa, quella giallo-verde. Oppure c’è quell’immagine dei gazebo leghisti in cui si vota sui dieci punti programmatici del centrodestra alle elezioni e non si vede neppure l’ombra del «contratto» con i grillini e neppure del «reddito di cittadinanza». «Una sorta di truffa al consumo», ironizza la Bernini.

Mentre quel «patto di non aggressione» ricorda il patto Molotov-Ribbentrop del ’39: allora nazisti e comunisti si divisero la Polonia; ora leghisti e grillini il Potere in Italia, con tutti gli altri partiti nei panni della Polonia. Una sorta di guerra lampo, come quella di allora. «Questi pensano alle nomine e a cambiare la legge elettorale insinua Sestino Giacomoni, uno degli uomini ombra del Cav per andare alle elezioni a febbraio. E non mi meraviglierei se l’uomo più congeniale a questa operazione, Giancarlo Giorgetti, ce lo ritrovassimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio con un premier grillino». Nomine, Potere, patti di maggioranza. C’è nell’aria una vocazione spartitoria, mentre Di Maio rinuncia alla premiership pur di raggiungere, appunto, il Potere: lui andrà al ministero dello Sviluppo economico; Salvini all’Interno; e l’ex segretario particolare di Berlusconi a Palazzo Chigi nel 94, Massolo, agli Esteri per rassicurare gli alleati. Sembra di essere tornati indietro nel tempo. Del resto l’economista della Lega, Armando Siri, il teorico della flat tax, confidava qualche tempo fa in uno studio televisivo di La7 uno schema prendendo spunto dal passato: «Potremmo arrivare ad un sistema di collaborazione nell’alternanza tra noi e loro, con i grillini nel ruolo della dc di una volta e noi dei socialisti». «Se questi partono conferma sull’altro versante Ignazio La Russa, di Fratelli d’Italia dureranno, per cui diventerà un’alleanza, come quella che c’era tra democristiani e socialdemocratici». E gli altri? Il resto del centrodestra ingoiato dalla Lega. E quel che rimane della sinistra, inglobato dai grillini o fuori. Se non è terremoto questo… Solo che i Paesi dell’Unione non sono isole. Se ne sono accorti tutti i movimenti populisti, di destra e di sinistra, del vecchio continente. Podemos in Spagna, la Le Pen in Francia, Syriza in Grecia. Magari a Salvini avrebbe fatto comodo un personaggio come Berlusconi per accreditarsi a Bruxelles. Non è solo Macron, infatti, a considerare i giallo-verdi «paradossali» o la Merkel, ma anche una star dei leghisti come Orban. «Io in Italia li ha liquidati l’interessato – ho solo un amico, Berlusconi».

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