Memorie quirinalizie del sotto governo della razza bureau

Attualità

L’unica volta negli ultimi lustri che era risuonato il nome dell’inquilino quirinalizio era stato nel Divo, mentre un avatar Pomicino si scatenava slittando come uno scugnizzo sui marmi del palazzo presidenziale, nell’attesa che il protagonista del film, Andreotti, diventasse Presidente. Era un film vintage, dedicato al mesozoico politico, quello che i giovani, in questo accomunati agli stranieri, non ricordano, non comprendono e non capiscono. E se al nome di Mattarella non scattava l’immancabile “Carneade chi era costui” lo si doveva solo al reiterato martirologio dei nomi caduti in affastellato ordine per la Resistenza, le foibe, il terrorismo rosso e nero, la mafia, le guerre americane, le manifestazioni, in un continuum che nella storia va da Adua ai vespri siciliani.  E come era stato sempre in tutti questi reducismi e sepolcri, mogli, nuore, suocere, figli, figlie, generi, fratelli, sorelle , madri e padri e parentele di contorno avevano provato a mettere a frutto i martiri giusto per in qualche modo risorgerli, fruttandone così per i parenti ancora vivi qui una carriera televisiva, una vita cinematografica, qui un notabilato burocratico, qui un percorso politico di prima grandezza. Già era successo che dai dormitori parlamentari dei remoti successi, figure che erano già busti di se stessi venissero scongelati per scopi occhiuti delle segreterie. Così Craxì deibernò Pertini, già prefetto di Milano nell’immediato dopoguerra, così Pannella con Scalfaro alle spalle del povero Pomicino, così chiatto chiatto pomo pomo era stato scongelato l’ex ministro degli esteri di Berlinguer. Anche Mattarella era stato immaginato da un fantasioso Renzi mentre imperversano le candidature della Gabbanelli o Rodotàtàtà al Quirinale, mentre il neo presidente sonecchiva sull’era dell’Ulivo cui apparteneva quando aveva immaginato una mediazione democristiana al maggioritario imposto dal referendum di Segni. Come si vede un altro vintage, un altro mesozoico. Senza collo, senza voce, senza spalle, proiezione di quella saggezza sicula del nonvedo, nonsento, non parlo, il Mattarella presidente si era attirato frizzi e lazzi per essere riuscito a nascondersi nella sua stessa ombra. D’altronde finchè l’onnipresente Renzi dava le carte non si richiedeva la materializzazione di esistenza. Il suo precedessore aveva brigato molto per sottrarre i governi italiani alle opinioni dei concittadini; lui aveva dovuto mantenere la barca nei flutti di laghi artificiali di maggioranze posticce inventate in Parlamento. Come un martire aveva atteso le elezioni 2018, sperando che gli opposti indignati e arrabbiati si bloccassero fra loro permettendo agli amici buropolitici di proseguire con i tecnicismi politici lontani dal sentire comune della società. Dopo il voto gli era toccato di perseguire questa difficile continuità gentilesca e pagliaccesca senza rete, cioè senza Renzi. Mai avrebbe pensato che gli arrabbiati e i razzisti trovassero un accordo, costringendolo ad incontrare italiani non di cera, ma miseramente veri. Qui il Mattarella ha dovuto fare affidamento su tutte le energie, quasi in uno sforzo spasmodico di movimentazione di collo. Ed è tornato a fare affidamento sulla razza bureau, quel mondo di esperti, saggisti, funzionari parlamentari e ministeriali, internazionali, commis d’etat e d’entreprise che in diversi modi vuoi regolamenti vuoi raccolta di sentenze si sostituiscono al corpus legis prodotto dai parlamentari che per ignoranza assomigliano sempre di più agli italiani di quanto possano i bureaucrats. Erede della razza padrona e dei boiardi di stato, la razza bureau è impegnata in una lotta di retroguardia per impedire che le grida vengano tradotte in volgare italiano e non restino invece in latino o in inglese o in finanzese. Per ora ce l’ha fatta, con l’aiuto di tutti i giornali e media che ciascuno a modo suo ha interpretato le notizie come era giusto darle, così che il Quirinale potesse presentare con sdegno e dignità gli impegni e gli sforzi di uno Stato che finisce col gettare alfine sempre la spugna ahimè.   Si voleva dare voce al popolo ma non si potè. Certo sarebbe stato meglio affidare l’incarico ad una mummia totale e non ad un bureau man che potrebbe risultare simpatico a molti populisti. Non tutto si può avere. Così il presidente che tutto deve a Renzi è riuscito ad allungare il brodo che con l’ennesimo governo tecnico doppierà l’anno. Quanto al centrodestra sarebbe peccato mortale dargli incarico alcuno ed il primo Siciliano all’anima ci tiene. Anche perché il centrodestra non ha ancora capito che deve candidare a leader il Matteo toscano e non quello lombardo. Al Quirinale come al Castel Sant’angelo di Pio nono ci si tormenta: “Se solo questi figliuoli si facessero consigliare da chi sa..”

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