Milano 16 Giugno – Non certo facili gli inizi per il nuovo governo. Dopo la crisi con la Francia a seguito dell’affair Aquarius, in qualche modo rabberciata con l’ncontro tra i premier delle due nazioni, a trovarsi ora in grosso imbarazzo è proprio il Movimento 5 Stelle alle prese con lo scandalo romano del nuovo stadio che pone in evidenza il problema della selezione della classe dirigente.
Sottolinea Massimo Franco sul Corriere “… Ma l’imbarazzo più palpabile è quello del Movimento Cinque Stelle. Lo scandalo del nuovo stadio della Roma non si sta sgonfiando, anzi promette di avere ripercussioni sullo stesso governo. Gli arresti di persone vicinissime ai vertici evocano un affarismo preoccupante non solo dal punto di vista penale. Il fatto che l’avvocato Luca Lanzalone, tra gli arrestati di due giorni fa, ieri si sia dimesso dalla presidenza di Acea, azienda del Campidoglio, è positivo. Ma non chiude la questione dei suoi rapporti con Virginia Raggi e con ministri come Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, che lo avrebbero presentato alla sindaca.
«Non ci siamo fatti infettare» dal virus della corruzione, dichiara il vicepremier Luigi Di Maio per arginare il disorientamento dei militanti. Quanto accade, però, va oltre i risvolti penali. Ripropone il tema di un M5S a rischio di infiltrazione da parte di interessi che non sembra in grado di valutare; e incline o costretto a scegliere referenti che condannano la selezione della sua classe dirigente. La vicenda dello stadio promette di assumere dimensioni nazionali anche perché Raggi rifiuta la parte del capro espiatorio. E, oltre a Fraccaro e Bonafede, non è chiaro quale sia il ruolo dello stesso Di Maio, del «garante» Beppe Grillo e del titolare della piattaforma Rousseau, David Casaleggio.
L’impressione è che sia cominciato un larvato scaricabarile: anticipazione di un «fuoco amico» che riflette i dissensi sull’alleanza con la Lega; le tensioni tra Raggi e alcuni esponenti romani; e i malumori per il protagonismo di Salvini e la subalternità del M5S in un governo del quale è il maggiore azionista. Basta registrare le incursioni di Alessandro Di Battista dal suo sabbatico californiano: ieri contro l’idea salviniana di togliere ogni limite all’uso dei contanti.
Il provvedimento «farebbe felice il mondo del crimine», ha scritto in un «post». È un modo indiretto per chiedere a Di Maio di mettere in riga Salvini; e rivendicare l’opposizione all’uso dei contanti da parte di M5S, quando a fine 2015 il Pd propose di alzare il «tetto». Il Movimento lo additò come un favore a evasori fiscali e criminali. «Vogliono farci litigare col M5S», avverte Salvini. Ma quella dei contanti è una contraddizione venale, nel fondale torbido che comincia a intravedersi a Roma.”
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