Ricky imparò a recarsi ogni mattina dal macellaio
Lo trovò mio padre, veterinario, mentre scorrazzava per il paese. Gli occhi imploranti cibo e acqua per una fame e sete ataviche. e pure una dimora. Si piacquero, e, come era uso fare, lo portò a casa senza chiedere il parere di alcuno – il pater familias, d’altronde, era lui -. Era bello: il manto di un pastore tedesco, la stazza di un San Bernardo. Il piano terra, allo stato grezzo, era a sua completa disposizione, era un po come tutto il paese.Era economo: imparò a recarsi ogni mattina quasi alla stessa ora dal macellaio ,il quale gli metteva tra i denti il suo pasto, che, in tutta fretta, portava davanti a casa per mangiarselo con calma. Fu, per un certo periodo, devoto. Mia nonna materna si alternava tra la nostra casa e quella di un altro figlio. Ogni sera si recava a messa, e, dopo accurata preparazione, mi chiedeva come stesse. Anche Ricky, senza preparazione alcuna, andava a messa con lei, ed esigeva, per per tutta la durala della funzione, di starle accanto. Don Giuseppe tentò all’inizio di protestare, ma poi dovette arrendersi alla devozione dell’animale. Quasi umano, dunque. Andava pure a simpatie. Detestava uno spazzino – a quel tempo la raccolta dell’immondizia in grandi bidoni di metallo nei quali non si differenziava nulla era casa per casa.
Era sufficiente Ricky, questo il suo nome, sentisse il rumore del camion, perchè si rizzasse, coda e testa allineate, e abbaiasse all’uomo – abbaiava solo – sino a che, uomo e camion, non si allontanavano. Non era punto bello l’operatore ecologico, e Ricky, amante dell’estetica, protestava, infischiandosene del galateo. Piacque a Dio che nessuno di noi fosse brutto. Io, dispettosissima, lo stuzzicavo tantissimo. Ma aveva una pazienza che avrebbe ammirato pure i certosini. Solo una volta mi morsicò, e, a pensarci ora, non posso dargli torto. Mi servì di lezione: da quel momento, solo carezze sulla testa. Flirtò per un periodo con il boxer del vicino, una femmina di nome Kelly; poi smise perchè il sollazzo amoroso non ripagava le numerose graffiature che si faceva per attraversare la rete metallica. Alla sua dipartita, mio padre non volle più cani. Al vuoto iniziale, in me, si sostituirono piacevoli ricordi. Ricordi d’altri tempi, e di un paesino di campagna nel quale i cani potevano ancora girare liberamente: “zingaro”, mio padre non avrebbe mai permesso che il suo cane stesse alla catena o in un appartamento piccolissimo. Non sarebbe stata e non è “vita da cani”. L’alano dei miei vicini attuali, a forza di rifare il giro del terrazzo, si era messo a sculettare. Ora, che ha cambiato padrone e casa, mi hanno detto che corre felice in un grande giardino e non sculetta più.
MARIA LUISA MAZZOCCHI (Libero)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845