Una legge del 1877 rilancia il «dog bar» per rifocillare i cani

Zampe di velluto

Le bestie siamo noi. Non i cani, che come nei paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti dovrebbero poter entrare nei bar per ricevere tanto di cibo e di cuscino. Questa si chiama civiltà, e in nome della «civiltà» Osvaldo Delle Curti di Busto Arsizio, barista, ha lanciato una campagna estiva semplice ma delicata quanto basta per uscire dalle mura cittadine e farsi largo in altri luoghi che hanno acquisito una sensibilità nuova nei confronti dei quattrozampe. Nuova ma anche nel contempo annosa, considerato proprio il caso di Busto. Davanti al suo bar D.O.C di fronte all’ospedale, Delle Curti ha posto da qualche giorno due ciotole d’acqua fresca e croccantini per i Fido che passano con il loro padrone. «Non mi fermerò qui – dichiara il cinofilo che presta assistenza ai cani anziani del canile cittadino «Rifugio Elia» -. Ho già interessato l’Ascom locale (Associazione commercianti), affinché altri esercenti di negozi si facciano avanti e si convincano della bontà di questa iniziativa. Non solo, a giorni metterò sacchetti per raccogliere gli escrementi. Spero che l’esempio sia seguito anche in altre città». Una speranza così fuori dal Comune di Busto da essere nella sua lungimiranza ben lungi da lì, perché l’idea arriva niente popò di meno da due secoli fa e da un luogo del tutto alieno al centro vicino a Milano.  Si parla di Trieste, quando faceva ancora parte dell’impero Austro-Ungarico. E’ del 24 maggio 1877 l’avviso emesso dal Magistrato civico triestino, col quale si ordinava ai proprietari di negozi, botteghe e officine di «tenere costantemente per tutta la durata della stagione calda, esposto un recipiente d’acqua monda, affinché i cani vaganti potessero dissetarsi». Per chi sgarrava era prevista una sanzione pecuniaria. Quasi 150 anni ci sono voluti perché qualcuno ripetesse quel pensiero gentile dedicato ai cani «vaganti», come sta scritto nell’avviso che piace anche ai coccoloni di Facebook. Dove quel vetusto «vagante», attributo alto più appropriato per un uomo, stava evidentemente per il moderno «randagio», aggettivo basso che dimostra come anche il linguaggio moderno sugli animali debba un po’ guardarsi alle spalle, a un tempo addietro in cui gli animali erano più umilmente rispettati. Oggi la lotta al randagismo ha quasi del tutto eliminato i cani che vagano, ma non ha risolto il problema dell’abbeveraggio dei quattrozampe al guinzaglio quando passeggiano per la città col gran caldo. Non è la prima volta che si nota qualcuno per le strade di Milano con una bottiglietta d’acqua in tasca, pronta per dissetare il suo animale. I cani non possono entrare nei luoghi di ristoro per ordinare una minerale e le fontanelle pubbliche in molti centri e in molte zone anche di grandi centri non sono più tanto numerose e funzionanti. Così un bar del varesotto ha rispolverato un Avviso della Mitteleuropa per fare un gesto dettato solo dalla passione per gli animali, che evidentemente i nostri progenitori avevano più affinata di noi, attenti a cappottini e ninnoli di maniera, ma non alle cose di sostanza. Due contenitori in acciaio con dentro solo un po’ d’acqua pulita, ché in fondo, al contrario dell’uomo, bestia capricciosa e con tanti peli sulla lingua, gli animali s’accontentano di poco.

ELENA GAIARDONI (Il Giornale)

 

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