L’allarme di don Gino Rigoldi ” Al Beccaria rischiamo il morto, il Ministero si muova”

Milano

Situazione esplosiva dopo la rivolta al carcere minorile, che da 15 anni è senza un direttore e da otto in mezzo a lavori di ristrutturazione.

«Sono molto preoccupato, molto. La situazione al Beccaria è al limiti e nessuno fa niente. Non so se bisogna aspettare che ci scappi il morto, perché il ministero si muova». Don Gino Rigoldi, da 40 anni cappellano al carcere minorile Beccaria, non è uno che parla a vanvera e se usa queste parole, non lo fa certo a caso. Era all’istituto di prevenzione e pena di via dei Calchi Taeggi sabato, prima che i ragazzi dessero fuoco a coperte e materassi. L’ennesima rivolta, l’ultimo episodio di protesta per le condizioni in cui versa la struttura, che da 15 anni è senza un direttore e da otto in mezzo a un cantiere che più che a una ristrutturazione sembra portare a una progressiva destrutturazione dell’edificio, con gli spazi ridotti, le transenne, i lavori che sembrano non finire mai e quest’impressione di precarietà perenne. «Lì dentro c’è il caos — dice il sacerdote — . Eppure le guardie sono brave, giovani, motivate. Fanno il possibile per far funzionare tutto, così come gli educatori e i volontari. C’è un lavoro di squadra ma tutto è vanificato da questa sensazione di abbandono da parte dello Stato e del governo. Nonostante gli appelli che facciamo da anni, se ne fregano, non mandano un direttore, non lasciano intravvedere un futuro, un progetto», continua don Gino. Lui li conosce bene due dei ragazzi che l’altra sera si sono fatti prendere dalla rabbia e hanno dato il via alla rivolta, con l’incendio appiccato nelle celle al secondo piano. Cinque detenuti e tre agenti sono finiti in ospedale e il giorno dopo la tensione è ancora alta.

Don Gino è andato di nuovo al Beccaria a cercare di calmare gli animi: «Uno dei due ragazzi ha avuto la conferma di una condanna pesante — spiega — e anche l’altro ha una storia difficile. Sono tutti e due molto seguiti, ma non è facile aiutarli, dar loro fiducia». Rigoldi dice che «non rimarrà un fatto isolato, un’esplosione di rabbia una tantum: lì dentro c’è un malcontento grave che affligge tutti gli ospiti e che può scatenarsi ogni giorno perché chi è dentro da molto tempo, rischia il trasferimento. I posti sono solo 25, mentre in passato erano sempre tra i 60 e i 100, un fabbisogno minimo per una città come questa». II carcere in ristrutturazione perenne e senza guida è come una nave che va alla deriva. Per ogni nuovo ingresso di giovani imputati, quelli più “anziani” tremano, perché potrebbero dover lasciare il letto ai nuovi arrivati e finire in qualche carcere del sud Italia. «Per loro è una tragedia — rivela il cappellano — andare al sud significa non vedere più la famiglia perché sono tutti poveri. Questo rischio di essere spostati come se fossero “figli di nessuno”, li fa sentire ancora più abbandonati, a rischio di perdere ogni legame. È per questo che sono così arrabbiati e che basta un niente per farli scattare. Io spero che il ministero faccia qualcosa prima che ci scappi davvero il morto».

Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, sindacato della polizia penitenziaria, conferma la «gravissima emergenza» e racconta che sabato pomeriggio c’è stato il panico perché c’erano sei intossicati da portare in ospedale ma mancavano gli agenti di scorta per i soliti problemi di organico, tanto che sono stati chiamati rinforzi da San Vittore. «Il clima nel carcere minorile resta tesissimo — continua Beneduci — . Gli organici di polizia penitenziaria sono in perenne carenza, così come quelli delle figure professionali determinanti nel percorso penitenziario dei minori. Il recente passaggio degli organici, prima in regime di distacco dal dipartimento alla giustizia minorile, ha fatto emergere la gravi criticità del sistema. Peraltro numerosi episodi in precedenza accaduti nel minorile milanese, avrebbero dovuto tenere alta la guardia sul ripetersi di simili episodi, inaccettabili in un paese civile».

Gli ultimi scontri risalgono al febbraio scorso, quando un agente rimase ferito in una due giorni di proteste e tafferugli. Incendi di coperte e materassi ci sono stati anche in ottobre e nel luglio dell’anno scorso, e prima ancora a gennaio 2017. Uno stillicidio di proteste sempre più violente e disperate. «Lo ripeto e spero di non essere profeta di sventura — dice don Gino al termine di una lunghissima giornata — . Basta promesse non mantenute. Se non si vuole alimentare questo clima di delusione e di rabbia, serve un intervento urgente sulla struttura e la nomina di un direttore motivato e presente. Prima che succeda una tragedia».

Zita Dazzi (Repubblica)

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