Ho provato a non scriverci nulla, ma niente. La storiella del cronista impavido che sfida il potere non la reggo. Il giovane cronista dell’agenzia Dire è sicuramente un tipo simpatico, tanto è vero che ci ho scambiato qualche battuta alla Fiera di Rho. Però sulla serata con Mentana racconta una mezza verità. Visto che si sta sventolando la bandiera del giornalismo libero e altre amenità raccontiamo come è andata. Così, per rispetto ai famosi lettori a cui dovremmo essere tutti devoti, raccontiamo con un filo di onestà la versione realistica della serata di giornalisti che si sono sentiti scomodi. Più che essere scomodi.
Partiamo dall’inizio: arrivo al check in della Fiera. Una collega della Stampa sta chiedendo infastidita al telefono se è proprio necessario registrarsi. Nota: bastava una veloce procedura online nei giorni precedenti e il check in consisteva nel mostrare un documento e ritirare il pass. Al che serafico chiedo: “Scusa è molto che aspetti?”. Replica: “Almeno dieci minuti”. Per carità, vero che eravamo a ridosso dell’inizio (sono circa le 21,40), ma sono dieci minuti, non mi pare un’eternità. Eppure. Arriva la povera ragazza che non può che scusarsi e confermare che è necessario compiere questo sforzo e rimanere in coda i minuti necessari. Manco a dirlo, entriamo 5 minuti dopo. Mentana ha appena iniziato a parlare. Va a braccio. Massime, buone intenzioni e qualche parolaccia per svegliare l’uditorio. Mischia concetti da vecchia guardia a frasi che lasciano intuire la sua permeabilità al mondo odierno: ad esempio mostra di sapere cos’è una killer app, ma incita a combattere insieme per i propri diritti. La delusione comunque monta: i cronisti presenti iniziano a capire che dettagli veri sul prossimo giornale ce ne saranno pochi. Io sono tra i più delusi, era tutto il giorno che pensavo a una domanda intelligente per farmi notare (l’unica era “Come si chiamerà il giornale? Sic l’ansia da prestazione!). E soprattutto essendo ancora precario, sono venuto in metro. L’orologio ticchetta. Io, la tizia della Stampa e “il giovane cronista di Dire” ci agitiamo perché contavamo di recuperare qualche dichiarazione e scappare verso casa. Ma niente: a Mentana piace parlare, inoltre un paio di sessantenni infiltrati in prima fila devono per forza dire la loro. Ah!. Passano le undici. Sempre più agitati ci rivolgiamo alla ragazza di prima, ma lei non può che iniziare a scusarsi a ripetizione. “Il giovane cronista” si innervosisce perché lei dice di non poterci girare la registrazione degli “a margine”. Capisco che lei semplicemente non sa cosa sia un “a margine”. Glielo spiego in due parole e lei ovviamente dice sì. Con due battute stemperiamo. Le domande continuano e Mentana risponde, ma all’ennesima “il giovane cronista” sbotta e riesce ad afferrare un microfono. Esordisce dicendo che lui deve tornare a Cassina de’ Pecchi quindi vorrebbe porre la sua domanda. Mentana un po’ basito per il tono (la prima replica è “sono anche io in metro e abito a Roma”) sente la domanda su quale ruolo Cairo dovrebbe rivestire nel nuovo giornale. Mentana replica l’editore non sarà Cairo, ma Mentana con i suoi soldi e che questo è uno dei problemi del giornalismo italiano: cercare sempre qualche trucco o qualcosa di storto a priori (sono d’accordo: così spesso si perdono di vista le informazioni). Con mossa felina ne approfitto (non sono ancora le 23,40, il mio orario massimo per non perdere l’ultimo treno) e afferro il microfono: chiedo come si chiamerà il giornale (“Non so ancora, ho avuto l’idea 11 giorni fa) e quando aprirà (“Quando aprirà”). Al che cedo il microfono al bruto dell’organizzazione che lo pretende e inizio a salutare. Poi saluto anche “il giovane cronista” con una battuta sulle domande strane per sdrammatizzare e mi avvio alla metro. Mentana nota che il tempo è passato e torna alla carica: “Ma non aveva la metro per Cassina?”. Da lì parte il battibecco da cui nasce il “coglione”. A dire la verità anche il “Ormai te lo sei preso e te lo tieni”. E prima: “Lei non sarebbe mai assunto” perchè falsifica le cose. Ma devo ammettere che per quanto spiacevole è tutto meno che un insulto a un giornalista che fa domande scomode: semmai a un giornalista che si è sentito scomodo. Ha trattato con fastidio una poveretta alle prime esperienze. E raccontato una panzana sull’urgenza di andarsene visto che dopo si è fermato ancora. Se scrivo queste righe non è perché mi stia antipatico il giovane cronista, nè stravedo per Mentana (che comunque reputo uno dei migliori in Italia e sì: gli ho mandato un cv), ma perchè dopo anni ho le scatole piene di posti fissi che bullizzano gli sfigati, come di gente che monta casi a caso. Siamo arrivati così in basso da dover difendere un “coglione”.
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