Il Safari dei Radical Chic annoiati nelle periferie

Milano

“Parte da oggi sulle pagine milanesi di Repubblica (versione cartacea o edizione digitale) un racconto lungo cinque settimane alla scoperta dei quartieri di Milano, delle sue periferie raccontato attraverso miti, leggende, personaggi.

Ogni giorno, fino alla prima domenica di settembre, quattro nostri inviati (Annarita Briganti, Gioacchino Criaco, Ettore Livini e Simone Mosca) racconteranno un lembo della città in un viaggio a tappe (29 in totale) che porterà i lettori da ‘fuori’ a ‘dentro’, dalla periferia verso il centro, piazza Gae Aulenti. “. Così Repubblica.

Ed ecco, signore e signori, ma soprattutto, compagne e compagni, il nuovo Safari! Venghino, oggi mostreremo le bestie feroci! Affrettatevi, i posti sono limitati. Andremo a visitare le selvagge periferie, dove la civiltà si ferma. Qui, incredibile a dirsi, vivono ancora come se l’Occidente non fosse caduto. Sono primitivi, chiusi. Hanno visi strani, l’occhio offuscato, atteggiamenti antichi, idee retrograde, intelletto limitato. I, per fortuna, pochi Italiani sono in gran parte razzisti, fascisti, xenofobi, eterosessuali, monogami, omofobi, carnivori, cattolici. Insomma un’umanità devastata. Pensate, in molti non hanno mai visto, non dico partecipato, ma proprio mai visto, un gay pride! E noi ve li mostreremo, cari compagni. O meglio no, non lo faremo.

Sappiamo che siete animi sensibili. Fiocchi di neve unici nel caldo e fascista sole di Agosto. Quindi dovete essere protetti. Protetti dal brutto che alligna là, appena fuori dal Naviglio. una bruttezza grave, che potrebbe minare la vostra fiducia nel Sol Africano dell’Avvenire. Quindi selezioneremo i profili meno offensivi, meno cruenti. Tanto gli altri si estingueranno a breve. Dunque, partiamo da Est. Da una parte c’è la Casbah di via Padova, con le occupazioni abusive. Le Moschee, abusive. Interi condomini, abusivi a modo loro pure quelli. Dall’altra le case popolari dove a turno o manca l’acqua o il riscaldamento. Ma non mancano mai i tentativi di MM di svuotare le tasche agli inquilini. Sempre meno Italiani, peraltro. Argomenti troppo controversi per voi, animi petalosi e sensibili.

Quindi vi parleremo di Peppino. Che ha un ristorante. È su una rotonda. Ha le brache alte. Gli occhiali. La camicia bassa. È l’ultimo ristoratore Italiano per kilometri. È politicamente innocuo, ha un bel nome e con le signore al suo fianco tiene aperta un’attività che non ferma la gioiosa colonizzazione straniera della periferia. È perfetto, insomma! Gioite con noi mentre ci apprestiamo alla seduta di yoga. E poi una bella doccia. La povertà, l’Italianità, la voglia di resistere degli autoctoni ti si attacca addosso. E va lavata via al più preso. Che lavoro difficile è fare il giornalista di Repubblica.

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