Ora che sono finite le ideologie, i sistemi di pensiero organico servono solo come puzzle d’apparenza di idee perché amici ed avversari possano sottrarsele a vicenda come a rubamazzo per un citazionismo sincretico senza senso.
Unica ancora di salvezza, ultimo solido senso della vita resta solo, in una infinita rincorsa d’aretratezza mentale che corrisponde all’impetuosa crescita tecnica, l’ultimo mito, il Cibo. Anzi nella lingua imperiale, il Food, questo definitivo contratto sociale tra Natura ed Uomo, che non conclude, anzi, moltiplica ed ampia il senso di colpa dell’Impero per lo strazio di flora e fauna cui il food condanna l’umanità. Chiudono le librerie, i cinema, i negozi d’abbigliamento e gli artigiani di collanine cui subentrano mille varianti di supermarket alimentari, vuoi light, vuoi deluxe, vuoi speedy vuoi slow, vuoi mignon vuoi giganti. Dal take away al ristorantone, ogni 6 passi si incontrano luoghi destinati alla gola riarsa ed al palato affamato. D’altronde l’unico motivo per allontanare il muso dalla tinozza dello schermo è proprio il cibo, ultima ancora solida al veleggiare leggeri sui palloni aereostatici nel cloud.
Purtroppo però dietro questo gigante del presente, c’è il nulla. La poderosa macchina agricola francese, orgoglio nazionale, vale solo il 2,2% del suo PIL. L’automatizzata Olanda che coltiva senza terra, acqua, luce, movimento delle braccia, senza natura; che produce per 85 miliardi di euro alla media di un milione a testa per i suoi 85mila contadini, (1.2% di una forza lavoro inferiore agli 8 milioni), questo miracolo della creatività dell’università di Wageningen, corrisponde ad un misero 4% di Pil. Una quarantina di miliardi producono quei meno di 4 italiani su cento dediti alle georgiche e bucoliche, malgrado che fra queste ci siano delle grandi eccellenze del made in Italy. Pensare che erano il 42,2% nel 1950, ed il 14,2% nel 1980.
Le campagne, come è visibile ad occhio nudo, sono sempre meno abitate in tutt’Europa. I boschi italiani sono sette volte più estesi rispetto al ’48. Potrebbero bruciare a lungo senza ridursi consistemente. I contadini francesi erano il 43% all’inizio del ‘900, il 14,3% nel 1970, oggi solo il 2% della popolazione attiva.
Fanno di tutto per essere all’altezza dei citoyen: calendari sexi, programmi Tv dedicati, manifestazioni originali, a base di letame scaricato alle porte delle Agenzie. Non ci sta nulla da fare, i paysan, responsabili ed avanzati, quindi nevrotici, finiscono per suicidarsi al ritmo di 600 all’anno. Come i loro colleghi inglesi, australiani, canadesi, svizzeri e sudcoreani.Gli italiani tengono maltrattando i neri in quei pochi settori agricoli in cui ancora si usa la terra come terra, e non come riutilizzazione intelligente di gas metano, di anidride carbonica, di radici sospese in aria, di riscaldamento e luci artificiali led.
Tutta l’agricoltura europea è pesantemente finanziata grazie a 400 miliardi settennali, distribuiti in Europa dal Fondo agricolo di garanzia e dal Fondo per lo sviluppo rurale, che valgono come seconda voce del settennale bilancio europeo di 1280 miliardi, un terzo buono di bilancio. La Politica Agraria Comunitaria era cosa buona e giusta nel dopoguerra in un continente dai campi devastati e dalle popolazioni per metà se non di più dedite alla ruralità. Oggi quei soldi vanno, in infima parte ai quattro gatti europei che producono cibo, ma per il grosso all’agricoltura digitale, alle filiere produttive, di combinazione e distributive. Che monopolizzano il mercato del latte della Giamaica, fino al 67%; o del mercato della carne nigeriano, tutto di suino e bovino inglese e tedesco; oppure del pomodoro come in Ghana dove la conserva italiana costa cinque volte meno quella locale.
Tutta l’agricoltura africana vale 100, dicasi, cento miliardi; nulla qui, molto per paesi che in genere hanno un Pil medio sotto i cento miliardi a parte i primi tre che stanno attorno, un po’ sotto, un po’ su ai mille. Solo nel primo mondo il cibo è food, per più di metà della popolazione mondiale è evitare la fame.Ora tutti gli europei, non solo Salvini, strillano per la riduzione del finanziamento PAC, a 380 miliardi del periodo ‘21-‘27.I 7 miliardi annui destinati al BelPaese diventerebberopoco più di 5. In tutto il periodo dopo il taglio resterebbero solo 36,3 miliardi all’Italia, 41 alla Germania, 43,7 alla Spagna, 62,3 alla Francia. Gli stati europei hanno rifiutato la riduzione. Come si fa con il food light, deluxe, speedy, slow, take away , mignon, vegano?
Eppure gli africani, pure incapaci, sono dei contadini cui la terra è inutile. Distruggono latte, verdure, pomodori perché invenduti battuti sistematicamente dal dumping del primo mondo.
Se non li si vuole, e giustamente, accogliere clandestini nei porti non li si può ridurre a dei senzaterra a casa loro. La Pac non deve sostituire l’autosufficienza alimentare africana. E se gli africani non sono buoni, logica vorrebbe che gran parte della Pac si trasferisse in Africa, con gli agricoltori europei e tutto il caravanserraglio di università, serre, ricercatori ed anche di operatori polacchi e romeni.
Ogniqualvolta vi mostrano una pancia gonfia di bimbo africano, un povero tugurio di paglia, una madre dolente non mandate Sms, non mettete mano al portafoglio ma pretendete che gli europei, non intermediari locali, vadano ad intervenire sulla base delle tasse che già avete pagato. Pretendete che i santegidi di casa tornino ad essere i comboniani in trasferta. Questo vorrebbe la logica bloccata dal tasto della colpa colonialista. Il blocco condanna l’Africa ad una popolazione poco più che doppia di quella europea a territori incomparabili. Ad una agricoltura continentale nera che batte di poco il lembo di terra olandese. Ad una Fao piena dei figli dei ricchi neri a Roma, invece che un’equivalente a Nairobi piena di esperti senza colore. Condanna anche il clandestino che vuole l’Europa per sè ma che implicitamente richiede Europa per e nell’Africa incapace.
Così matura la folle coesistenza di euvegano e di afrofame, molto più folle della morte di un gruppo di servi della gleba neri.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.